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IL CIRCOLO LETTERARIO ANASTASIANO CONTINUA SU:

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TACCUINO ANASTASIANO

28 marzo 2012

Giuseppe Iuliano, testimone di poesia e libertà

Un munus amicitiae per i suoi sessant'anni: così è sottotitolata la recente pubblicazione della Delta 3 Edizioni, curata da Paolo Saggese, dedicata interamente al nostro amico poeta e scrittore irpino in occasione del suo sessantesimo compleanno. Una sorpresa, un regalo prezioso, dunque, che Peppino Iuliano meritava davvero, per la sua più che trentennale milizia nel campo della poesia non solo irpina, ma nazionale: una poesia incisiva, un canto che tocca soprattutto le sfere del sociale e della realtà meridionale in tutte le sue multiformi e a volte contrastanti peculiarità.
Un libro voluminoso, denso, interessante, che raccogliendo le tantissime testimonianze sulla poesia e sull'attività letteraria di Peppino Iuliano, realizza anche, se vogliamo, un disegno d'insieme che illustra molto bene tutto il mondo umano, sociale e letterario, nel quale il nostro amico si è sempre mosso e tuttora procede con grande intuito e intelligenza poetica, sapendo leggere attentamente nelle pieghe della terra, della natura e dell'uomo.
Il libro, che consta di ben 295 pagine, con una approfondita prefazione di Giuseppe Panella, riporta le testimonianze, le recensioni, i saggi, le lettere e i giudizi di numerosissimi amici letterati, critici, giornalisti, poeti e scrittori, i cui nomi in questa sede sarebbe impossibile riportare; tra questi, molti sono i personaggi illustri.
Chiude il libro una ricca bibliografia e l'elenco dettagliato di tutte le opere di Giuseppe Iuliano.

Giuseppe Vetromile

22 marzo 2012

Pierino Gallo e il suo "abbecedario di Verlaine"

La poesia non ha un tempo e non ha uno spazio delimitante, ovvero non si lascia imprigionare né si lascia piegare o modellare dalle tendenze, dalle politiche, dai sistemi, dalle contingenze storiche, sociali, politiche e geografiche; semmai, è vero il contrario: quando è alta poesia, quando è pura poesia, nasce libera ed essa stessa è esempio e propositrice di nuovi e più ampi confini e considerazioni sulla vita, sull'essere, sul mondo. Abbiamo molti esempi di poeti, dall'antichità classica fino ai giorni nostri, che con la loro forza espressiva, con la loro assidua ricerca del "rinnovamento" e del "rigenerante", hanno non solo contribuito all'evoluzione linguistica, ma anche indicato indirizzi e filosofie nuove, nuove tendenze e correnti letterarie e poetiche.

In effetti, ogni poeta, se è autentico poeta, apporta il suo contributo più o meno grande alla continua evoluzione del pensiero letterario e all'arte in genere. Maestri, come dicevo prima, ce ne sono stati tanti, e non è male tenerli presenti, come riferimento, ma non per emularli o riproporli, ricalcando le loro medesime orme poetiche, bensì prolungando in un certo senso la loro memoria e la loro teoria poetica. E' il caso di Pierino Gallo, che con "L'abbecedario di Verlaine" scrive poesie tenendo affettuosamente sulla scrivania (ed anche sulla copertina del libro) il ritratto del grande poeta simbolista francese. Ma il suo non è un riscrivere versi sulla falsariga dell'art poétique verlainiana, non è un prendere a prestito il mondo poetico del grande poeta simbolista per riproporcelo direttamente e tale e quale, in una visionarietà nostalgica ed epigonica che non risulterebbe autentica e sincera; la poesia di Pierino Gallo vive invece di propria intima energia, e il suo dettato, pur additando il Verlaine e menzionandolo quasi provocatoriamente nel titolo, oltre che nell'esergo, è autonomamente generato, e rigenerante, avventurandosi in un mondo poetico tutto suo, che dell'autore dei Poèmes saturniens attua soltanto l'essenza modale e progettuale: e cioè, una poesia che abbia i suoi giusti connotati nella scelta opportuna del verso e della sua musicalità, nell'andare in fondo alle cose senza eccessiva eloquenza, nel saper dare il giusto senso di sfumatura alle parole. Ciò è confermato anche dall'attenta prefatrice, Giada Diano, la quale asserisce giustamente che Pierino Gallo non attua un confronto con i poeti francesi, piuttosto esprime una sincera vicinanza. E si tratta di una vicinanza intima, senza alcun dubbio molto stretta, che, come scrive ancora la Diano, implica non solo il mondo poetico di Verlaine e di Rimbaud, ma addirittura tutta la sfera umana e sociale del nostro autore; e se è vero che non è possibile scindere il poeta dall'uomo, in quanto non si può essere poeti a comando, o soltanto in certe ore della giornata o solamente in certe situazioni, questa intrinseca e, sotto certi aspetti scambievole, qualità poetante, in Pierino Gallo assume certamente livelli di eccezionale qualità. La consapevolezza di esserlo imprime poi in lui una certa responsabilità a mantenere il tono del dettato aderente alle sue grandi capacità poetiche, nel continuo di un vissuto che sovente viene "disturbato", se non ostacolato, da opzioni interne/esterne, difficoltà e problemi inerenti alla quotidianità: il vero poeta, e Pierino Gallo è vero poeta, si trova spesso a combattere contro questi "spuntoni rocciosi" che possono far naufragare la propria nave creativa. Specialmente nel mondo attuale, colmo di luci false e privo quasi del tutto di buoni riferimenti.
Ma Pierino Gallo va sicuro per la sua strada, indicandoci che per poetare bene, per percorrere la giusta strada della poesia, occorre avere in tasca l'"abbecedario di Verlaine", non altro (o almeno quello), per produrre senza distrarsi dei versi che abbiano il sapore e il profumo della vera poesia, indipendentemente da tramontati e nostalgici classicismi, sperimentalismi, avanguardismi e altri "ismi" che possano connotare una eventuale nuova corrente letteraria e poetica. Giacchè i requisiti necessari per una buona creatività poetica sono comunque universalmente validi, e quelli dettati da Verlaine sono da prendere in particolare considerazione.
Ma tornando al nostro Pierino Gallo, è da notare la sua vasta cultura e la peculiare conoscenza della letteratura francese, avendo al suo attivo numerosi saggi nei quali ha ampiamente trattato autori come Chateaubriand e lo stesso Verlaine (oltre ai nostri Pascoli, D'Annunzio, Montale e Pasolini. Ciò non poteva in un certo qual modo, non dico influenzare, ma quanto meno "soffiare" in lui quella stessa aria e quello stesso senso di elegante evanescenza e musicalità che connota gran parte della poesia francese di fine ottocento: "...Il tuo canto, il tuo canto, / ridotto ad eco due volte / perché potessi amarlo...", così, a pag. 33, il nostro Autore declama, come per insistere sull'urgenza di esprimere la propria verità poetica; ma il suo dettato poetico non si limita soltanto alle proprie istanze interiori da raffigurare e da modellare sulla pagina con versi brevi e sfumati, densi però di richiami e di rimandi: il suo dire è in effetti completo ed esteso, in quanto egli riflette nei suoi versi, in molte delle poesie che si susseguono l'una dopo l'altra senza titolo, come per dar corpo ad un canto continuo che tocca tutte le corde possibili, anche la complessità multicolore del mondo esterno. Si tratta comunque di una doppia operazione di frammentazione degli elementi allegorici e simbolici, quella che compie Pierino Gallo, e di una ricostruzione di un complesso edificio poetico, il cui risultato non fa che raffozzare, ampliandoli in un contesto più generale, direi universale, gli stessi primitivi elementi: "Tra la nebbia / non vedo / le sponde del lago / né lo specchio / dell'acqua", dove nebbia e lago, da singoli elementi, acquistano nel complesso una significanza allusiva ben maggiore, come l'incertezza della vita, il senso dell'imponderabilità.
Credo, per concludere, che Pierino Gallo abbia dato ottima prova di sé, con questa sua recente opera, del suo eccellente talento letterario, dimostrando ancora una volta che il fare poesia non scaturisce semplicemente da innate illuminazioni, ma che queste innate illuminazioni devono continuamente essere sottoposte al vaglio e al filtro di una mente acuta e indulgente, costante nella ricerca letteraria e severa nell'uso dell'abbecedario, cioè degli elementi essenziali, per la costruzione di una linea poetica autentica e credibile.

Pierino Gallo, "L'abbecedario di Verlaine", LietoColle, 2012. Prefazione di Giada Diano.

Giuseppe Vetromile
21/3/2012

Proclamati i vincitori del Premio "Maria Pina Natale" 2012

La giuria composta daRina Pandolfo, scrittrice (Presidente), Katia Bonfiglio, docente di latino, Anna Maria Crisafulli Sartori, giornalista, Ella Imbalzano, critico letterario, Giuseppe Vetromile, poeta e scrittore, ha scrutinato i lavori della Settima edizione del Premio Letterario "MARIA PINA NATALE" dedicato alla poesia edita, proclamando i seguenti vincitori:


1° classificato, Marisa Pelle, da Messina, con il libro "Dai gradini del Persephoneion", Ed. Besa.

2° classificato, Carla Baroni, da Ferrara, con il libro "Rose di luce", Ed. Bastogi.

3° classificato, Paolo Sangiovanni, da Roma, con il libro "Penelope", Ed.Cir.letterario "Ponte San Nicolò".

Per la sezione dedicata agli studenti, il riconoscimento di merito avverrà durante la cerimonia di premiazione.

La cerimonia della settima edizione del Premio Maria Pina Natale si svolgerà martedì 3 aprile 2012 alle ore 17.00 presso l’Aula Magna del Liceo Maurolico di Messina . I vincitori della sez. A Silloge edita saranno avvisati tempestivamente secondo le modalità previste dal bando, mentre i vincitori della sezione B studenti saranno proclamati durante la cerimonia.

Rif: http://www.mariapinanatale.it/?p=273

19 marzo 2012

La Giornata Mondiale della Poesia

Il 21 marzo si celebra in tutto il mondo la Giornata Mondiale della Poesia, istituita dall’UNESCO per riconoscere all’espressione poetica un ruolo privilegiato nella promozione del dialogo interculturale, della comunicazione e della pace. Quest’anno, la Commissione Nazionale Italiana per l’UNESCO ha scelto di celebrare la Giornata a l’Aquila, eleggendola quale “sede” della Giornata Mondiale della Poesia per dare speranza a questa città distrutta, provata ed abbandonata che, con il terremoto del 6 aprile del 2009, ha visto andare in frantumi le splendide architetture ed il ricco patrimonio culturale. Grazie al lavoro dell’’Associazione “Itinerari Armonici”, patrocinata dalla Commissione Nazionale Italiana per l’UNESCO, che ha ideato ed organizzato “La Poesia Manifesta”, L’Aquila diverrà per un giorno il luogo della poesia ed il crocevia della cultura espressa sotto forma di esperienze diverse ma comunque affini e sorelle. 

Proprio su questi principi  prende il via CORRISPONDENZE –Visioni e Versi per questo Luogo, progetto scaturito da un’idea di Danilo Balducci e Rino Bianchi, promosso dall’Associazione Culturale Le Chat Noir e dal Gruppo OCCHIO QUADRATO. Un percorso-memoria nei luoghi martoriati dal sisma. 21 fotografie accompagnate da 21 poesie, immagini e parole che suscitano emozioni, provando a stabilire tra loro un incontro, ricercando una CORRISPONDENZA espressiva condivisa, mettendo in evidenza il rapporto tra “luogo, immagini e parole”.  L’animo di un luogo scaturisce dalla sua storia, dalle sue vicissitudini, dagli eventi che vi si sono succeduti. Far divenire l’attimo duraturo, serbare il percorso umano, la storia di una comunità, una certa memoria. Così in un contesto molto caratterizzato e carico possiamo inserire queste CORRISPONDENZE di poeti e fotografi, tra immagine e poesia che, con storie e percorsi diversi, sono approdati in questo Luogo.
Il ritratto che esce ha la carica e la forza dell’umana quotidianità, dove le immagini corrispondono alle parole. Questa idea si  presenta come linguaggio caleidoscopico, sfaccettato, composto di molteplici fotogrammi, multiformi versi, tanti movimenti, tante azioni di lavoro, di pause, di ozio fermato e condensato in un’immagine fotografica o in un verso. Come tessere della vita, tessere di una vitalità che scorre sottotraccia, che s’incunea, che si perde, nei vicoli, nei portici e poi di nuovo si spande nelle strade, negli ultimi orti, nei cortili. 
Al progetto che si svolgerà dalle ore 11 del 21 marzo 2012, presso il Centro Direzionale Valentini, in Via dell’Arcivescovado, hanno aderito Danilo BALDUCCI, Francesca BELLINO, Elena BELLO, Rino BIANCHI, Maria Grazia CALANDRONE, Nicole CIMINO, Tania CRISTOFARI, Claudio DAMIANI, Riccardo DURANTI, Daniela FABRIZI,  Antonietta GNERRE, Maria GROSSO, Anna MANNA, Dario ORLANDI, Paolo PORTO, Valentina PROTOPAPA, Cony RAY, Lidia RIVIELLO, Francesca SPERANZA, Gabriella SICA, Luigia SORRENTINO, Patrizia TOCCI.

CORRISPONDENZE –Visioni e Versi per questo Luogo- 
Dove: L’Aquila Centro Direzionale Valentini Via dell’Arcivescovado
Ore: dalle ore 11,00 del 21 marzo

"La lettera smarrita" (Dai ricordi di Aldo De Gioia), di Anna Aita

Esempi di storie e romanzi progettati e scritti sulla base di ipotetici manoscritti ritrovati dall'autore in fondo ad un cassetto della casa paterna o in una cassapanca abbandonata nel soffitto della casa dei nonni, o in qualche altro modo ancora più originale, se ne possono forse menzionare in grande quantità. Questa modalità è particolarmente intrigante ed affascinante, perchè racchiude in sé la novità, il mistero, la curiosità di sapere e di conoscere fatti accaduti ma che non sono mai stati resi noti, non sono mai entrati nella storia ufficiale, indipendentemente dal fatto che possa trattarsi di storie vere o inventate. Ma lo schema, la modalità, come dicevo, è particolarmente accattivante, e apre orizzonti vasti e articolati, in base ai "documenti" ritrovati.
"La lettera smarrita" rispecchia in pieno questo schema, facendo pregustare già fin dalle prime righe una storia che è in grado di suscitare forti emozioni, inducendo il  lettore a proseguire ininterrottamente per scendere sempre più in fondo e rovistare nel cuore della storia per assaporarne la curiosità, il mistero.
Il libro inizia con un antefatto che sa di coincidenza troppo fortunata, per essere solo una semplice coincidenza, il che già comincia a velare il racconto, almeno l'inizio, di una saporita suspence di carattere quasi magico. E cioé: l'Autrice del libro racconta e spiega come, in una mattina che si annuncia piena di sole (e già questo particolare potrebbe indicare metaforicamente un percorso di luce che finalmente sveli le cose sepolte nella memoria...), rimettendo in ordine la libreria, ritrovi un plico contenente scritti e appunti di un suo vecchio amico, Norberto Mauri.
Il lungo racconto ricostruito dall'autrice, Anna Aita, sulla base di quegli appunti ritrovati, fotografie, articoli di giornali ed altre annotazioni sparse, riguardanti il doloroso periodo dell'ultima guerra mondiale a Napoli, e completati poi in presenza dell'amico Norberto, finalmente rintracciato, si origina dunque da qui. Ora il materiale, per così dire, è pronto per essere sviluppato in un racconto affascinante, doloroso ma anche commovente, grazie soprattutto alla bravura e alla grande esperienza di scrittrice di Anna Aita, che ha saputo irrorare i fatti e gli episodi narrati, di una lucidità descrittiva e figurativa eccezionali, plasmandovi una forte emozionalità che traspare evidente in ogni pagina, si può dire in ogni capitolo. La narrazione condotta in prima persona rende più viva ed immediata la storia, l'attualizza e ce la rende più che visiva, compartecipata. Ed anche qui sta il grande pregio dell'autrice, sapersi immedesimare pienamente nel tessuto narrativo, come se la storia fosse stata da lei stessa vissuta.
La trama può essere riassunta brevemente in questo contesto ma solo per avere poi a disposizione alcuni elementi importanti per vedere, provare e sentire quello che c'è, quello che si può intuire oltre la storia, e cioè tutta la complessa sfera sociale ed emotiva, psicologica e umana che preme e palpita appena dietro la marrazione, dietro le parole.
Dunque, riassumendo, il protagonista Norberto Mauri compie un viaggio in Egitto insieme ad altri anziani reduci di guerra, per visitare i luoghi che furono crudelissimi teatri di guerra e per commemorare il tristissimo periodo trascorso laggiù, ad El Alamein, in combattimento contro le forze inglesi, di gran lunga superiori in mezzi ed uomini. Durante il viaggio in aereo ci si conosce e si instaurano rapporti di amicizia tra i vari reduci, ognuno dei quali ha una storia, un aneddoto particolare da raccontare, e la storia davvero orrenda di quei giorni, intrisa di atti di coraggio ma anche di momenti di relativa bonaria serenità (commovente la descrizione di una improvvisata rappresentazione teatrale organizzata dagli stessi soldati italiani), risalta in tutta la sua lucida realtà come se fosse accaduta solo qualche giorno prima. Il gruppo di ex combattenti viene ospitato dall'ambasciata italiana. Segue, il giorno dopo, la visita al Sacrario. E qui avviene l'episodio che fa immergere tutto il racconto in un'aura di imponderabilità, di mistero, di magia: l'incontro con una donna misteriosa, vestita in nero, che indica al protagonista una lapide segnata col numero 8. Capirà poi al suo ritorno a casa, Norberto, che quella lapide custodiva i resti di suo padre morto ad El Alamein, padre che era partito da Napoli insieme a tanti altri giovani soldati e che non aveva più fatto ritorno. E, per rendere il mistero ancora più magico, c'è da considerare che il numero 8, scritto in orizzontale, simboleggia l'infinito...
C'è dunque una donna, figura misteriosa, che almeno in tre punti del racconto acquista una valenza emozionale e misterica di grande rilievo, direi peculiare: e cioè, nella prima fase descrittiva che rimanda ai ricordi del protagonista Norberto di quando era ragazzo, nel pieno di una guerra che devastava Napoli, incessantemente bombardata, in cui si legge di Livia, una bambina che venne presa in adozione dalla mamma di Norberto e della quale il giovane protagonista s'era segretamente innamorato. C'è poi l'incontro misterioso con la donna in nero al Sacrario di El Alamein, ed infine c'è la donna incontrata tra sogno e realtà mentre Norberto ritorna a Napoli con il treno. Quest'ultimo incontro è particolarmente misterioso, direi metafisico, e un po' rappresenta l'acme di tutto il racconto, in quanto finalmente svela al protagonista ciò che lui stesso forse intuiva da tempo e cioé come e dove fosse veramente morto suo padre, e, cosa ancora più eclatante, chi fosse veramente il padre di Livia.
Ma la storia che abbiamo appena riassunto, continua, come dicevo prima, oltre l'accaduto in sé, lasciando quel "retrogusto" raffinato e ricco di un mondo fatto soprattutto di cuore, di fede, di coraggio, di eroismo, di abnegazione, di rispetto verso l'uomo e verso la società, di amor patrio, di fratellanza, di radicati e fondamentali valori familiari, che balza evidente agli occhi del lettore attento.
Il tutto, come dicevo, intriso di una certa aura di mistero: infatti, come afferma la stessa Anna Aita nella sua eloquente introduzione, Aldo De Gioia, alias il Norberto Mauri protagonista de "La lettera smarrita", ha tre passioni in particolare: Napoli, la Storia e l'Arcano. E mi sembra che proprio in questo bel racconto queste tre peculiarità di Aldo De Gioia abbiano trovato la giusta integrazione.
Abbiamo dunque Napoli: una città che Aldo De Gioia conosce molto bene, nelle sue antiche vicissitudini storiche e sociali, nei suoi aneddoti, nella sua intricata topografia, nella sua umanità e nella sua disperazione, nella sua canzone e nella sua poesia, nel suo amore per la vita.
La Storia: una storia che è viva e dolorante, quella della guerra e dell'oppressione tedesca, quella dei bombardamenti improvvisi e della miseria, quella dei giovani militari, tra i quali anche il padre di Norberto / Aldo, che si radunavano al porto per imbarcarsi e per raggiungere mete lontane, mete africane, dove molti di loro troveranno la morte, ma una morte eroica, valorosa, tanto che di loro fu scritto su una stele: "mancò la fortuna, non il valore"!
Ed infine, terzo elemento, l'arcano: è un'aura di mistero, ma non cupa o spaventevole, semmai triste e malinconica, commovente e intrigante, quella che avvolge tutta la storia, fin dall'inizio e fino alla lettura della fatidica lettera smarrita, che il protagonista trova misteriosamente, è il caso di dirlo, all'interno del libro che ha portato con sé durante il viaggio in Africa, con l'intenzione di leggerlo ma che, stranamente, dimentica nella valigia, e che ora, quasi fosse dotato di volontà propria, gli si apre dinanzi con una dolce prepotenza, come per dirgli: ecco, son qua, aprimi e troverai la soluzione di tutto...
Ma c'è ancora un'ulteriore caratteristica, un risvolto ancora più prezioso e importante che traspare nel racconto, una specie di morale della favola, chiamamola così, a mio avviso, che si può dedurre leggendo queste pagine, ed è l'eroismo, l'attaccamento al dovere, l'amor patrio dei nostri combattenti in terra d'africa, e che costituiscono valori fondamentali dell'uomo nel suo consesso civile. Sono pagine di storia intramontabili, fatte appunto di dolori e di abnegazione, di sofferenze, di martirii ma anche di atti di eroismo.
Questo libro, al di là delle forti emozioni che suscita nel lettore nel pur breve e interessante intreccio narrativo, al di là di una pagina di storia che fa riemergere in noi, nella nostra mente e nel nostro cuore, episodi indelebili e intramontabili, momenti cruciali di vita e di vite vissute sotto il terrore di una guerra terribile e devastatrice, è anche, e soprattutto, una lunga accorata nostalgica e nello stesso tempo luminosa poesia. E' una poesia per il modo gentile, caldo, armonico e melodioso con cui viene offerto al lettore un contenuto che, essendo in molti punti crudele e terrificante (si parla di guerra e di disagi), poteva in qualche modo sconvolgere o quanto meno inasprire il lessico; invece, grazie alla grande esperienza di scrittrice di Anna Aita, al suo saper individuare il vero cuore poetico della trama narrativa per poi aderirvi perfettamente, ciò non è accaduto.
E' una poesia, infine, perché il protagonista Norberto Mauri, alias Aldo De Gioia, è un poeta. Se ci facciamo caso, al di là della storia e del mistero che in alcuni punti l'avvolge, come abbiamo visto, questa vicenda sembra tendere man mano che si sviluppa, ad una grande poesia: ed è quella grande poesia, direi sintesi sublime di tutto il racconto, che è El Alamein, scritta da Aldo De Gioia ed esposta su una lapide di bronzo ad El Alamein, nel museo di Porta Pia, e nella caserma Ferrari Orsi di Caserta.
"La lettera smarrita" è dunque un libro che, per il suo contenuto, sicuramente andrà ad arricchire la millenaria storia dei valorosi figli di Napoli, sempre pronti a seguire con passione e sacrificio gli intramontabili valori di libertà e di amor patrio.

Giuseppe Vetromile

Il libro "La lettera smarrita" (dai ricordi di Aldo De Gioia), di Anna Aita, è stato presentato presso l'Associazione Megaris, Napoli, il 18 marzo 2012. Relatori Immacolata Serpe e Giuseppe Vetromile. Lettrice Diana Colella.

Le foto della serata di presentazione sono visionabili su:
https://skydrive.live.com/redir.aspx?cid=907e040d90abf0e5&resid=907E040D90ABF0E5!1936&parid=root.

Sono visionabili anche dei video, ai seguenti collegamenti:
http://www.youtube.com/watch?v=JFGpLnmtlrI
http://www.youtube.com/watch?v=AYY5czW5ApU
http://www.youtube.com/watch?v=pfXbkXCDJvs
http://www.youtube.com/watch?v=Xyotvcr8MTY
http://www.youtube.com/watch?v=4CFVAD4WDGE
http://www.youtube.com/watch?v=LPyFe9m3-A4

18 marzo 2012

Le "Occasioni di poesia" di Francesco Belluomini

Ospito molto volentieri una interessante recensione di Vincenzo Guarracino al libro "Occasioni di poesia" di Francesco Belluomini, con alcune poesie dell'autore tratte dallo stesso volume.

Poesia d’occasione, come dice già anche il titolo, inscritta tra due date, 1976-2010, e composta sotto diverse sollecitazioni occasionali, pubbliche e private: è questo che Francesco Belluomini, poeta e operatore culturale, raccoglie in questo librino, Occasioni di poesia (1976-2010), edito da Tracce. Suddivisa in tre parti, “Testi unici”-“Dediche d’addio”-“Prime pagine”, più un prologo, “Input”, la raccolta chiama in causa circostanze private e culturali (una lettura, un convegno, una mostra, un libro), figure (familiari, amici, conoscenti, letterati), abbozzi di testi, dediche e “percorsi a piè di pagina”, accantonati a futura memoria e qui finalmente proposti, a riprova dell’assunto che di un poeta mai nulla va buttato. Una poesia in apparenza “minore”, marginale: ma chi può dire impunemente una cosa siffatta dacché Montale una simile definizione l’aveva eletta a insegna di una sua memorabile raccolta, facendola diventare un’insegna stessa della poesia novecentesca? A scorrere poi i titoli e ancor più le “occasioni” che hanno generato questi testi, bisogna poi convenire che marginali, ossia trascurabili, sono tutt’altro che la lingua che li esprime e il loro esito poetico, in taluni casi veramente notevole.
Partiamo da “Input”, il prologo: “Tutto quello che ho / non è soltanto ciò / che mi porto addosso…/ Tutto quello che avevo / l’ho bruciato al fuoco nuovo / per averne in cambio / ceneri antiche…”. C’è una visione della vita, prima ancora che della poesia, come di un qualcosa che si lega strutturalmente al soggetto e costituisce un tutt’uno con la sua coscienza in una unità indistruttibile. Diversamente dal cinico Diogene, che orgogliosamente rivendicava come suo unico possesso ciò che si portava addosso (omnia mea mecum), Belluomini arroga a sé, come sua esclusiva e gelosa proprietà, tutto, ciò che possiede al presente e perfino le “ceneri” del suo passato. Sono proprio esse, le “ceneri”, a ben vedere, l’elemento più interessante, il resto (e il deposito) di un qualcosa che la vita non riesce a distruggere col suo grigiore (e “ceneri” a Belluomini deve essere un termine molto caso se lo espone perfino nel titolo di una sua opera narrativa, Le ceneri rimosse, edito da Newton Compton, 1989). Stanno infatti lì a testimoniare paradossalmente la persistenza di un sentimento delle cose (eventi, luoghi e persone), in cui l’io si riconosce, nulla cancellando o rinnegando ma anzi da essi acquistando un incremento di vitalità: sono insomma l’essenza per antonomasia della poesia, oltre l’incandescenza tante volte dolorosa di ciò che l’ha generata. Si potrebbe pensare al Foscolo di Didimo Chierico che parla di poesia in termini di “calore di una fiamma lontana”, ma forse è anche più suggestivo pensare a una definizione di Lawrence Ferlinghetti, secondo cui “Poesia è / notizie dalla frontiera / della coscienza”, un messaggio insomma da decifrare, proveniente da una dimensione sfuggente e misteriosa, capace di innescare nel lettore il “rito del pensare”, a partire da un’”occasione”, da quello che Breton aveva definito un “punto di accensione” della mente e del cuore. Sempre seguendo Ferlinghetti, si potrebbe dire che poesia “è voce / della Quarta Persona Singolare”, voce cioè di qualcuno che se dice “io” lo dice solo per convenzione, dimenticandosi, “distraendosi” dall’assunto originario (situazione che Deleuze e Guattari pongono alla base stessa della scrittura, di ogni scrittura) per disporsi in una registrazione di ciò che avviene alle “frontiere della coscienza” in una infinita serie di deciframenti locali, pensieri di una discontinuità feconda, “ceneri” antiche sempre nuove, conservate o “rimosse”, di cui la “Quarta persona Singolare” gode, lui non meno dei suoi fortunati lettori.
Da questa necessaria premessa, si capisce come l”occasione”, l’”hasard”, sia considerata da Belluomini poco più che un pre-testo, qualcosa che letteralmente viene prima e che sta a monte del testo, senza esaurirsi in se stessa: uno spunto, uno stimolo, da cui poi si sviluppa una riflessione, che può diramarsi, frammentarsi, deterritorializzarsi seguendo gli imprevedibili percorsi dell’interpretazione di ciascuno, a prescindere dalle intenzioni di chi scrive. Una “perdita del senso”, dunque? Anche (a patto di convincersi, sulla scorta di ciò che è detto in Rizoma di Deleuze e Guattari che “in un libro non c’è niente da capire, ma molto di cui servirsi”). Proviamo a verificare se e quanto funziona una simile ipotesi. Con un testo, uno soltanto, dedicato a un comune amico scomparso, Alberto Cappi, evocato in un’affettuosa interpellanza, non con convenzionali “parole di commiato” bensì in termini di convinta adesione al suo mondo generoso di valori (l’”umanità dell’uomo”, l’ardore nelle “dispute focali”, la discrezione): come non convenire che ciò che viene detto dell’amico è solo una parte di quanto si è depositato alle “frontiere della coscienza” di chi scrive e che in chi legge (e interpreta) dà il senso di un’”avventura” esegetica da perseguire autonomamente, anche oltre il personaggio e il testo in questione, in nome della poesia come esperienza in grado di costruire un’autentica civiltà, una leopardiana “social catena”?

Vincenzo Guarracino


Francesco Belluomini, OCCASIONI POESIA (1976-2010), Tracce, Pescara 2011, pp.95, 11,00 euro

FRANCESCO BELLUOMINI è nato a Viareggio nel 1941, vive a Lido di Camaiore. Ha pubblicato quindici volumi di poesia, tra gli ultimi Occhi di Gubìa (LietoColle, 2008, poi uscito anche in versione spagnola nel 2009 dal titolo Escobenes a cura di Emilio Coco) e Nell'arso delle sponde (Verona 2010). I romanzi Le ceneri rimosse (Newton Compton, 1989); Sul secco di quell'erba (romanzo in versi, Pagine, 2002); L'eccidio di SantAnna di Stazzema (Bonaccorso, 2006); La finestra sul mare (Bonaccorso, 2007); Villa Giulia (Bonaccorso, 2009). Suoi testi sono stati pubblicati in antologie, periodici e riviste specializzate. Fondatore e Presidente del Premio letterario Camaiore.


Dario Bellezza

Sei andato... ma l'alba è sorta chiara
ed è spuntato un sole senza lacrime.
Un fatto che accomuna, nessuna transazione
come la guerra che combattiamo assieme.
La storia, quella dei pochi, non comprende
quelli dei taboga, i disattesi della parola:
il semiOlimpo ha le mani callose
quelle che non trasudano nei salotti.
Sei andato lasciando i tuoi fendenti di carta
la tua dolente ironia, quel nonostante tutto
del vivente tra viventi. Non eri atteso
e non aspettarti ora gli oltre degli echi:
per noi le campane suonano solo a morto.
Chissà perché la cosa, quali le ragioni
gli azzeramenti degli scalini...
Un rapporto pesantito dai miei carichi,
dalla gente, dal pudore del mio essere
ortodosso, ma non serve la morte
per indebolire l'amizia.


Amelia Rosselli

Vorrei poter recidere un fiore
nel giardino proibito per Amelia,
sottrarla dall'esilio continuato
dopo quello d'epopea di famiglia.
Averla vista prima della cosa,
come il gatto, che dopo la cercava.
miagolando dall'alto per la ciotola
vuota. Poterle dire della forza
del tagliente linguaggio dei suoi versi,
per nulla femminili, e della voce
nel roco del transalpino fonestismo.

Spero che la ricordi quell'avaro
mondo, cui sempre poco si concede
a chi non porta dote contingente,
 ma spero la contenti questo fiore
come perenne dedica d'omaggio.

Antonello Trombadori

Ricordo nell'uomo ligio che conobbi
la fierezza di vecchio partigiano
e dedico parole non dolenti
raccolte nel momento del distacco,
seppur con educata propensione.
So quanto scorre l'acqua sotto i ponti
e quanto fu ribelle la miseria
perché vissuta tutta l'esperienza
da quando vidi luce nel malanno.
Nel furore dei rossi sventolii
si giacque d'attesa e sangue mia madre,
che si segnava ai pasti e guerreggiava;
e fu tutto un grido in diecimila bocche
tra sudore e pugni chiusi a partorirmi.
Ma lo spazio costante del cordoglio
registra l'uomo d'arte, il poeta
mai domo dei sonetti romaneschi
e l'intellettuale privo di rimpianti,
senza pesi d'ideologica scansione.

E nell'andare via vedo quel gelo
che raffredda la voce dei poeti
e lascio questa mia corrispondenza
ai valori ruotanti la passione,
negando m’appartenga l’apatia
che sempre aspra e netta ci soggiace.

Pier Paolo Pasolini

Si è fatto di polvere e brandelli
il vitale del corpo fustigato
dalle mani scomposte e secondarie
di quanti, nel silenzio degl'imbelli,
zittirono nell'urlo la tua voce.
Non giudicai, né giudico quei gesti
d'icrociato movente, l'innocenza
vittima di presunto assassinio.
Non giudicai, né giudico l'arsura
del poeta dell'alata morte, verso
l'appassirsi del fiore delle mille
e una notte: rapace vampirismo.

Verona 2004.
“Senza Distanze” (Cinque poemetti dialoganti:
Bellezza, Pasolini, Pea, Singer, Viani)

8 marzo 2012

"L'Opera Poetica" di Ciro Vitiello

E' stato presentato ieri, mercoledì 7 marzo 2012, nella storica saletta rossa della Libreria Guida a Port'Alba, a Napoli, il libro di Ciro Vitiello "L'Opera Poetica", Guida Editore. Si tratta del primo volume di un progetto editoriale ampio, che comprende altri sei volumi, e cioé: L'Opera Poetica Vol. II, I Romanzi (Vol. III e Vol. IV), I Racconti (Vol. V), Il Pensiero Interrogante (Vol. VI) e Teoria e Critica (Vol. VII).
L'Opera Poetica Vol. I, introdotta da approfonditi saggi di Giorgio Bàrberi Squarotti, Stefano Verdino e Carlo Di Lieto, raccoglie (come anche il Vol. II), i testi poetici di Ciro Vitiello, sia editi che inediti.
A relazionare sul libro, dopo la presentazione e i saluti dell'Autore, sono stati: Ugo Piscopo, Antonio Filippetti e lo stesso Carlo Di Lieto.
Lettrice di eccezionale bravura è stata la scrittrice Lucia Stefanelli Cervelli.
Numeroso e attento il pubblico in sala, tra cui diversi amici poeti e scrittori.

4 marzo 2012

Il 18 marzo la presentazione de "La lettera smarrita"

Sarà presentato domenica 18 marzo, alle ore 17.30, presso l'Associazione Megaris in Via Strettola delle Fiorentine a Chiaia 14, il recente libro di Anna Aita intitolato "La lettera smarrita", dai ricordi di Aldo De Gioia.
I relatori saranno la dottoressa Immacolata Serpe e il poeta Giuseppe Vetromile.
Oltre all'Autrice, sarà presente Aldo De Gioia, noto storico napoletano e docente di pedagogia e filosofia.

Si tratta di un racconto particolarmente emozionante, non privo di una certa aura di mistero, imperniato sui ricordi di un ex combattente dell'ultima guerra mondiale, durante le violente e drammatiche battaglie fra italiani ed inglesi ad El Alamein.

Anna Aita, poetessa, scrittrice e giornalista pubblicista, è responsabile dell'Associazione "Megaris". Ha pubblicato diversi testi di poesia, di narrativa e di saggistica. Il suo nome compare su rinomati giornali italiani ed esteri.

Aldo De Gioia, storico di Napoli, è autore di interessanti volumi riguardanti la canzone napoletana, la seconda guerra mondiale e le Quattro Giornate di Napoli. Per il teatro ha composto un musical intitolato Quando a napoli cadevano le bombe. E' stato premiato in Campidoglio per la sua poesia El Alamein, divenuta Inno Ufficiale dell'Ottava Brigata Bersaglieri Garibaldi. Benemerito della repubblica Italiana, è stato nominato dal presidente Ciampi Cavaliere e Grande Ufficiale.

1 marzo 2012

Una nota di Mariolina La Monica su un racconto tratto dal libro "Dudici" di Flora Restivo

Nel leggere la raccolta di racconti  “Dudici” di Flora Restivo, poetessa molto apprezzata e stimata dall’intero mondo letterario siciliano e non, colpisce la sua bravura di scrittrice, la forte componente espressiva e la velata ironia, come nel seguente passo: “Ci sunnu pirsuni chi nascinu cu na stidda: pi tutta la vita hannu nna lu cori, ’n testa, nna li vini, sulu ‘n amuri... A li voti è amuri di Diu, allura addiventanu santi, ma è nautru discursu”.
Ironia come scudo che, tuttavia, non nasconde l’anima sensibile e schietta dell’autrice in questi intensi racconti che denotano la grande padronanza del dialetto siciliano e l’attenta capacità delle relative traduzioni in italiano.
Ma soffermiamoci adesso su “Littra”. Un testo, questo, dedicato al poeta marsalese Nino Contiliano e in cui l’autoironia della Restivo non riesce a celare la forte componente drammatica in esso presente. Piuttosto, nel descrivere perfettamente tutte le sensazioni comuni al vero amore e l’inspiegabilità, l’irrazionalità, il tormento e la gioia che esso dona anche nell’illusione di un non possibile ricongiungimento, pare lo sfogo accorato di un’anima.
In esso emerge la malinconia dell’amore connaturato alla capacità di sviluppare il rimpianto di situazioni e momenti, ahimè, andati, proprio della bellezza poetica di un'anima: “Già, li toi palori, tutti chiddi chi mi scrivivi e ju liggia e liggia, senza stancarimi mai, mi parianu calati di ‘n celu, mi l’avissi manciatu e vivutu, chiddi chi mi dicivi ogni matina, comu ni ncuntravamu ammucciuni, prima di jiri a la scola, nna dda stratuzza, cu genti schiffariata darrè li pirsiani a taliari sapiddu zoccu”.
Ecco, così, emergere, dall’aspetto meditativo del racconto, la percezione dell’imprendibilità del tempo trascorso e la consapevole irrinunciabilità di un tale sentimento: “Forsi c’è un filu, ntra certi pirsuni, chi resta sempri ntrizzatu, puru si iddi stissi nun si n’addunanu. Si fannu ognunu la propia vita, nun si vidinu, nun si parranu pi anni e anni, poi, cui sapi pi quali crapicciu di lu casu, si ncontranu e sentinu comu na manu frisca chi accarizza la frunti arsa di frevi, un tuppuliari ‘n pettu, na smania di stari vicinu, senza mancu ciatiari”.
Ed è bellezza che, come diceva Kant, è il simbolo del bene morale.
Da questa vediamo sbucare nitido il dolore e, con esso, la constatazione di non avere realmente vissuto: “E ricitai, ricitai sempri na parti, nfilata nta na vesta troppu stritta o troppu abbunnanti, mai di la misura giusta; cu spinguli e spinguluna mi l’abbirsava di ‘n coddu, ma comu mi muvia li spinguli trasianu nna la carni, oppuru la stoffa si strazzava”.
Uno sproloquio, come lo definisce l’autrice, che, invece, direi l’esplosione, lo sbocco, la liberazione di un’anima che non ammette a tal punto le mezze misure, da far giungere la protagonista di “Littra” in maniera tragica e inconsueta a sperare di potersi ricongiungersi al suo amore attraverso la morte, vista con lo spirito di chi è arrabbiato con la vita e, tuttavia, sogna in essa la pace finale, il realizzante epilogo conclusivo.
Un racconto, quindi, con un’alta componente drammatica, che rivela nettamente la grande delicatezza d’animo e la reale sete di un universo più giusto per ognuno di Flora Restivo, degna interprete del vernacolo siciliano a cui auguriamo pieni consensi dal mondo della critica per questo suo trascinante “Dudici” di reale valore artistico e spirituale, in cui noi tutti appariamo conchiglie sottoposte ai venti e alle intemperie, che sognano e sempre sognano orizzonti.
                                                                                   
Mariolina La Monica

Le Foto de "La Rocciapoesia 3"

Le foto dell'incontro de "La Rocciapoesia 2", a Pratella, il 27 ottobre 2012

Le foto dell'evento "Una poesia fuori dal comune". Sant'Anastasia, 23 settembre 2012

Una poesia fuori dal comune, Sant0Anastasia, 23 settembre 2012

PUNTO, Almanacco della Poesia italiana

PUNTO SCHEDA

ARCARTE - IL VIAGGIO DELLA CREATIVITA'

Si è svolto il 30 novembre scorso, alle ore 17, presso l'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, Palazzo Serra di Cassano in Via Monte di Dio 14, Napoli, il Convegno di studi e reading di poesia "ARCARTE - IL VIAGGIO DELLA CREATIVITA'".
All'interessante incontro, promosso e organizzato dall'Istituto Culturale del Mezzogiorno e dall'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, hanno preso parte:
- Natale Antonio Rossi, Presidente Unione Nazionale Scrittori Artisti;
- Ernesto Paolozzi, Università di Napoli Suor Orsola Bnincasa;
-Antonio Scamardella, Università di Napoli Parthenope;
- Antonio Filippetti, Presidente Istituto Culturale del Mezzogiorno.
Nell'ambito del convegno si è svolta la rassegna "Liberi in Poesia", con la partecipazione di autori di diverse generazioni. Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha conferito ad "ARCARTE" quale suo premio una medaglia di rappresentanza.

Le foto del convegno

Presentazione "Sulla soglia di piccole porte"

Enza Silvestrini, 11 ottobre 2012