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IL CIRCOLO LETTERARIO ANASTASIANO CONTINUA SU:

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TACCUINO ANASTASIANO

20 novembre 2012

"Bella Italia, Brutta gente", un nuovo libro di Antonio Filippetti sul generale stato di degrado italiano


E' stato presentato con successo il nuovo libro di Antonio Filippetti "Bella Italia, brutta gente" (sottotitolo: "Un Paese in anestesia tra sciacalli, cialtroni e leccapiedi"), presso l'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli, dagli illustri relatori Gilberto Antonio Marselli ed Ernesto Paolozzi, coordinati da Piero Antonio Toma.
Dopo "Italieni, il paese delle mezze calzette", con questo libro Antonio Filippetti torna ad indagare sulle ragioni del declino nazionale che coinvolge ormai tutti gli aspetti della vita civile, politica e culturale. Lo fa con questo "pamphlet" tagliente e corrosivo che non lascia margini di dubbio o incertezza. Il tanto decantato Belpaese ha subìto un processo di devastante imbarbarimento che lo ha reso una zona franca, una terra di nessuno dove pullulano mestatori della peggior specie: avvoltoi e sciacalli sempre pronti alla razzia, ciarlatani vanitosi, cortigiani ossequiosi per solo spirito di parte. In una situazione di così diffuso degrado, dove tutto resta inchiodato all'inerzia e all'immobilità e il finto nuovo appare come un destino immarcescibile, si restringono inevitabilmente tutti i margini di manovra per richiedere e più ancora attuare un inderogabile rinnovamento anche perché lo smantellamento dello spirito critico ha anestetizzato le coscienze determinando un pericoloso stato di omologazione intellettuale e standardizzazione dei comportamenti. Per uscire da questo vicolo cieco e alimentare un lume di speranza, occorrerà che i giovani non rassegnati - né "perduti" - si facciano portatori di un autentico, contagioso risveglio culturale in grado di innestare cioè un'inversione di rotta non effimera, dando altresì forza e sostanza ai propri ideali e valorizzando senza timori le proprie aspirazioni ad un futuro diverso.

Antonio Filippetti, giornalista e scrittore, è presidente dell'Istituto Culturale del Mezzogiorno e fa parte del Consiglio Direttivo dell'Unione Nazionale Scrittori ed Artisti. Ha pubblicato una ventina di libri ed è il fondatore e direttore di "Arte&Carte", la rivista della creatività artistica: è inoltre il curatore del progetto interdisciplinare "Liberi in poesia". Ha collaborato a riviste specializzate italiane e straniere e a diversi quotidiani nazionali.

17 novembre 2012

"La Colonna e il Mare", una recensione di Mariolina La Monica

Pubblichiamo qui di seguito una interessante nota critica della scrittrice e poetessa Mariolina La Monica sul libro di Tommaso Romano "La Colonna e il Mare", Editrice ISSPE, Palermo, 2009.

“Ciò che è dettato dentro è difficile da esprimere” pare che abbia affermato Tommaso Romano, leggendo il testo.

Pur condividendo tale opinione che molto dice sul limite che, tuttavia, ci fa uomini, aggiungerei che ciò non è però impossibile se l’essere è proteso, come in questo caso, a manifestare l’autenticità di quel dettato avvertito.
Difatti, mai titolo di un volume è parso così appropriato come “La Colonna  e Il Mare”, in quanto è qui riportata tutta la simbologia mitica e leggendaria della colonna, figura emblematica di sostegno, forza, solidità e stabilità, e del mare che sempre ha affascinato l’uomo con la sua spaziosità, il moto perenne, i suoi mutamenti. Un mare che si fa metafora d’incanto e di pericoli, principio delle cose, eterno flusso del divenire, inarrestabilità e ineluttabilità degli eventi che caratterizzano la vita di ogni essere vivente.
Quindi, colonna e mare che ben rispecchiano il dettato di Romano e che ben legano con l’idea del Mosaicosmo, in questo suo ottavo volume della collezione su esso imperniata. Volume suddiviso in quattro parti, articolate in modo tale da consentire al lettore d’entrare a far parte dell’idea e capire il grande disegno simbolicamente celato nella tessera di un grande mosaico cosmico che tutti e tutto riflette.
Dice l’autore, nel passo dedicato alla  Mito-Teologia: “….l’uomo costruisce e vive, inventa e reinventa i simboli e i miti perché con essi ricostruisce in sé il cammino che rispecchiando-eterna” (pag. 12).
Ed ecco che, senza tornare al titolo anch’esso riflesso in questa frase, allora è il pensiero dell’individuo a racchiudere l’essenza stessa del divino allorché l’idea di far parte compiutamente di un grande circolo vitale diviene meta e ricerca del bello, dono qualificante di buona vita.
Il Mosaicosmo altro non è che lo svilupparsi di un tale pensiero in noi. Evento sconvolgente che, inevitabilmente, si ripercuote sulle azioni e sulla coscienza che più non si adagia, ma insegue una renovatio, la quale, in considerazione della perennità dell’anima nel circolo vita-morte, non ammette deroghe o falsità, ma insegue e si eleva alla più limpida spiritualità possibile.
Un circolo che mai si spezza ed in cui ogni vita altro non è che una particella di un enorme mosaico; una scaglia che può risultare più o meno evidente e più o meno preziosa a seconda che insegua il dubbio o aderisca al progetto primigenio di riscatto, ma che sicuramente ha la sua importanza nel contribuire a creare l’opera finale del cosmo.
In ogni caso, svariati sarebbero i temi da affrontare in questa sede, in quanto realmente multiformi sono gli aspetti su sui si sviluppa il testo, a cominciare dalla prima parte che comprende “Nel Mosaicosmo”, a “Essere nel Mosaicosmo” (una lunga conversazione tra l’autore, Maria Patrizia Allotta e Luca Tumminello, che molto rivela del pensiero dello stesso sull’argomento),  a “Dallo gnosticismo all’individualismo”, e così via di seguito, per finire, nella quarta e ultima sezione, a “L’umanesimo integrale di Antonino Giuseppe Marchese”.
Nondimeno, vorrei soffermarmi sulla seconda parte, ossia su quella parte che racchiude “Saggi, profili, interventi storici e letterari”, perché essa è rappresentazione tangibile dello stare nel Mosaicosmo di Tommaso Romano e specialmente lo è l’intervento fatto al Liceo Linguistico - Psico Pedagogico “Danilo Dolci” e riguardante Alda Merini (pag. 162), perché, a mio avviso, esso svela pienamente il fare della bellezza presso l’uomo.
Bellezza che, in questo caso, è poesia, amore per la parola più volte sofferta e faticosamente riaffermata, canto vivo che, sublimando, accosta al cielo, è, usando le parole di una lirica della Merini, “…entrare / nel fuoco della passione / e avere questo cigno bianco di desideri…”.
Bellezza e verità, dunque, di cui “La Colonna e Il Mare” si nutre ed “il Mosaicosmo” ha bisogno per sussistere e andare oltre il quotidiano. Andare, lungo sponde d’un mare in eterno movimento e, dunque, scarsamente tranquillo, ma andare attentamente sulla scia lucente dell’alga speranza che segna in modo magnifico questa idea.

Mariolina La Monica


10 novembre 2012

"Il bianco delle vele", poesie di Franco Casadei


Progettare e organizzare una raccolta di poesie che abbia un filo conduttore più o meno evidente, ma che abbia soprattutto un mondo omogeneo da proporre, senza eccessivi sfilacciature o dettati esondanti dal contesto poetico che ribolle e preme dall'intimo, è lavoro alquanto complesso e certosino, se non si vuol realizzare una mera raccolta di versi sparpagliati e basta. Ed è importante il titolo, già segnale indicatore di quello che il poeta autore vuole dire, ed è importante l'esergo, altro faro illuminante lungo la pista, a volte impervia, che penetra nei meandri più segreti ed autentici dell'autore. Insomma, leggere un libro di poesia, di quelli che veramente hanno spessore e che scompigliano in un certo qual modo la nostra inerzia o sonnolenza di lettori poco attenti, è un'impresa che si deve affrontare col dovuto rispetto, impegno e piacere.
Mi sembra che il recente lavoro poetico di Franco Casadei, "Il bianco delle vele", rispecchi in pieno quanto appena detto. L'esergo è chiaro: si parte da una citazione della Szymborska che, a parte l'assunzione di un impegno non indifferente da parte del Casadei, impegno che dimostra di mantenere e di sostenere davvero con forza e capacità letteraria, lascia perlomeno smarriti: "Ho passato tutto il giorno senza far domande, senza stupirmi di niente..." Ed è dunque da qui che partono "le vele" di Franco Casadei. Si tratta di un viaggio nella natura e nell'uomo, come afferma nel titolo la prefatrice Antonia Arslan, in cui il poeta affronta a tu per tu il mistero della morte, la sua ineluttabilità, ma anche la dolcezza, l'umanità che accompagna il mistero stesso, come per lenirlo in qualche modo, come per accettarlo: "senza far domande, e senza stupirsi eccessivamente", appunto: "Dovrà morire l'uomo, la pianta / e l'ape indaffarata, / patire sfregi, chiodi sulla carne e l'odio...", scrive Casadei nella poesia di apertura, come a voler prendere le distanze da tutta una congerie di cavilli e di tentativi vani per vivere una vita che sia soltanto rose e fiori. Ma qui non è rassegnazione, attestazione di una verità che, purtroppo, ci sta sotto agli occhi tutti i giorni: il dolore esiste, esiste la sofferenza, esiste la morte; ma l'intento del poeta è quello di andare oltre, scavalcare i confini dell'ineluttabilità umana e naturale, per cercare più in là: "... lo spazio aperto degli uccelli / sfidare il peso della terra che mi attira / osare il volo senza alcun riparo...". Del resto, Casadei sa bene cosa sia il soffrire e il patire: la sua professione di medico alimenta la sua poesia di quell'umanità, di quella consapevole vicinanza, rendendola più lucida e più vera, ma senza inutili pietismi, senza esondare eccessivamente nell'amarezza e nel pianto.
L'apice di questa sua costruzione poetica, misurata ma pregna, come dicevo, di grande umanità e spiritualità, possiamo trovarlo forse in una poesia davvero toccante, "Bruno e Rosalba", dedicata ai suoi fratelli di 11 e 12 anni annegati in un torrente sulle colline romagnole, come leggiamo nella nota a pie' di pagina 18: "Quella sera, dopo la fiumana, la riva / sfaldata al gioco delle vostre corse / ingenue, non siete tornati", recita con profonda nostalgia il Casadei, e poi conclude: "... quel ventuno settembre piangevo / per venire al fiume, avreste custodito / i miei tre anni, vi avrei salvato, forse, / forse avete salvato me". Traspare quasi evidente in questa chiusa il dolore contenuto, il rimpianto per non aver potuto fare nulla per salvare i due fratelli, ma nello stesso tempo emerge dai questi versi finali una sorta di catarsi, una palingenesi privata, interiore, che nonostante tutto, rende forze nuove e salvifiche: "forse avete salvato me"!
In questo senso il titolo, "Il bianco delle vele", può essere inteso come una sorta di purificazione, di distacco dal male e dalla morte, dalla sofferenza e dalle perdite: un crogiuolo di memorie fondamentali, necessarie per guardare avanti, nella consapevolezza che l'uomo è carne non duratura, ma è anche spirito che si eleva, che va oltre, nell'eterno viaggio del cosmo verso la sua piena realizzazione. Non a caso, subito dopo "Bruno e Rosalba", Casadei inserisce nel suo libro "Diventerò ancora te, mia terra": "... diventerò ancora te, mia terra, / ascolta, ascolta che matura il grano." E qui, il senso della speranza, della continua evoluzione dell'uomo attraverso gli eterni cicli di vita/morte/rinascita, è evidente.
Si potrebbe continuare il lungo viaggio nel mondo poetico di Franco Casadei, con il "bianco delle vele" che spiccano di umanità sulla sua nave terrena. Ma penso che questa mia breve riflessione sulla sua poesia possa dare un suggerimento, anche minimo, ai lettori attenti, affinchè possano approfondire ulteriormente questo libro, scritto con mano sapiente e sicura di un poeta che merita certamente grande considerazione nell'attuale panorama letterario e poetico nazionale.

Franco Casadei, "Il bianco delle vele", Raffaelli Editore, Rimini, 2012. Prefazione di Antonia Arslan. Postfazione di Stefano Maldini.

Giuseppe Vetromile
10/11/12


Le Foto de "La Rocciapoesia 3"

Le foto dell'incontro de "La Rocciapoesia 2", a Pratella, il 27 ottobre 2012

Le foto dell'evento "Una poesia fuori dal comune". Sant'Anastasia, 23 settembre 2012

Una poesia fuori dal comune, Sant0Anastasia, 23 settembre 2012

PUNTO, Almanacco della Poesia italiana

PUNTO SCHEDA

ARCARTE - IL VIAGGIO DELLA CREATIVITA'

Si è svolto il 30 novembre scorso, alle ore 17, presso l'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, Palazzo Serra di Cassano in Via Monte di Dio 14, Napoli, il Convegno di studi e reading di poesia "ARCARTE - IL VIAGGIO DELLA CREATIVITA'".
All'interessante incontro, promosso e organizzato dall'Istituto Culturale del Mezzogiorno e dall'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, hanno preso parte:
- Natale Antonio Rossi, Presidente Unione Nazionale Scrittori Artisti;
- Ernesto Paolozzi, Università di Napoli Suor Orsola Bnincasa;
-Antonio Scamardella, Università di Napoli Parthenope;
- Antonio Filippetti, Presidente Istituto Culturale del Mezzogiorno.
Nell'ambito del convegno si è svolta la rassegna "Liberi in Poesia", con la partecipazione di autori di diverse generazioni. Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha conferito ad "ARCARTE" quale suo premio una medaglia di rappresentanza.

Le foto del convegno

Presentazione "Sulla soglia di piccole porte"

Enza Silvestrini, 11 ottobre 2012