“Aiutami a scrivere questi versi / che siano del tutto veritieri”: è l’incipit di questo interessante canovaccio poetico, quasi una ballata, o un canzoniere, se vogliamo definirlo così, visto che l’Autore, Giovanni Peli, è anche un ottimo cantautore. E in effetti, il suo verseggiare ritmico, cadenzato, richiama il suo sapiente destreggiarsi con la musica e la musicalità, e del verso e della storia. E la storia parla, canta e racconta, in un modo schietto e senza i classici peli sulla lingua, di vicissitudini e stati d’animo, di precarietà della vita e di ricerca dell’essenzialità. Il Principe, il Bibliotecario e la dittatura della fantasia, titolo quanto mai appropriato per questo lungo canzoniere, non sono altro che la metafora del potente, del sottomesso e della necessità vitale (“dittatoriale”) di una fantasia che serve a realizzarsi, a trovare uno schema congruo e soddisfacente nell’aguzzo procedere della vita quotidiana, con tutte le sue rigidezze e compromessi per equilibrarsi dentro i sì e i no della moderna società: “Dopo la colazione alle undici senza / contratto in mano apri un po’ le finestre. / Entra il sole col destino degli spettri: / dileguare e lasciare i problemi reali: /Amelia è tutt’uno con un mondo intero. / Su Vega la cosa funziona così.” E così Amelia, Vega, il Principe, l’Uomo-pesce, rappresentano i capisaldi – e li troveremo in tutto il poemetto, qua e là citati più volte – di una figurazione semifiabesca che il nostro autore, quasi come un antico menestrello, misura e ritaglia sui personaggi, facendoli muovere, pensare, parlare, riflettere. Ma c’è un personaggio centrale: Marco-cuore-raro. E’ lui il raccoglitore delle disfatte, il metabolizzatore di tutte le angherie e i mali, colui che ingoia tutte le storture e le ingiustizie, ed è consapevole di ciò, ma: “Marco-cuore-raro arriverà troppo tardi / con la boria del narratore mancato / con la pappa per il micio spelacchiato.”Tutta la raccolta poetica si snoda quindi come una lunga canzone, ma le imprevedibili trovate, le figurazioni, le scene e i personaggi, la loro vivacità impressionante, la loro verità di vita, anche negli angoli più rimessi e dimessi della quotidianità, rendono il procedere poetico gradevole e degno di attenzione. Bisogna meditare su certi aspetti della vita, che a volte rimangono tacitamente nascosti o difficili da estrinsecare e da prospettare: in questa raccolta l’Autore con coraggio li porta in superficie, e ci mostra che tutti siamo un po’ Principi, un po’ Bibliotecari, e un po’ (o forse molto) desideriamo l’evasione da certi stereotipi che ci ingannano e ci lusingano, ma ci impoveriscono. L’amarezza e la disillusione della fine non devono però scoraggiare anche il lettore: “Qui c’è solo da abituarsi e fare i fatti / e sfiorarsi e strofinarsi. / Termino il racconto e ne ho già nostalgia / perché la pagina è anche amica mia. / Ingranaggi arrugginiti come la speranza. / Passano le preghiere… / …le bisnonne coi tarocchi… / Che venga una parola che voglia dire / insieme bugia e insieme verità. / L’amore che tutto abbellisce e sotterra.”Come ogni bella storia ci insegna, l’amore (che, appunto, tutto abbellisce e sotterra), redimerà il mondo ed è questa l’ultima speranza.
Giuseppe Vetromile
Giovanni Peli, "Il Principe, il Bibliotecario e la dittatura della fantasia". Edizioni di latta, Milano. Copertina di Olimpia Smith. Collana "Menti assetate", marzo 2008.
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