LA VERITÀ DELL’AMORE NELL’ARMONIA DELLA PAROLA
Non è certo la prima volta che abbiamo l’opportunità di cogliere la voce nascosta di un uomo, il rivelabile e finanche l’irrivelabile cammino, i chiaroscuri di un’anima, per mezzo della poesia. Difatti è essa che ne legge a fondo l’indole, i momenti, le idee, la forza e le disfatte, divenendo, così, immenso lascito per chi sa scandagliare, amare, scoprire il linguaggio dei simboli, affondare nella parola, spesso, andando, anch’egli con più consapevolezza, a ricercare un approdo di più armoniosa bellezza, individuabile in un viaggio spirituale verso il trascendente, l’incorporeo.
Ebbene, a mio avviso, questo elevato messaggio è racchiuso nell’intera opera di Salvatore Di Marco, poeta e letterato di spicco di origine monrealese, a cui Tommaso Romano e la fondazione Thule hanno dedicato un convegno, svoltosi a Palermo il 22/12/2007, accentrato proprio sulla sua figura e sul suo pensiero.
Questo credo sia bastevole per indicare in lui un autore attivamente impegnato che tanto ha dato alla cultura del secondo novecento, intraprendendo inoltre un lungo e travagliato percorso di rinnovamento nell’ambito della poesia dialettale siciliana, riuscendo ad innalzare notevolmente la soglia degli obsoleti rancidi schemi, così da rappresentare oggi un pilastro portante della letteratura siciliana di oltre mezzo secolo.
Ma soffermiamoci adesso sulla raccolta di liriche in vernacolo siciliano Cu Rimita Menti (Con Remota Mente) che si avvale della prefazione del poeta e critico letterario Enzo Papa, e racchiude poesie scelte che vanno dal 1988 al 2009.
Essa si mostra come una sorta di canzoniere in cui basterebbero i pochi sotto indicati versi della poesia Iu nun c’era per capire l’intensità espressiva e cogliere il dolore che ha attraversato la vita di questo illustre rappresentante della poesia dialettale in Sicilia: “Iu, nun c’era cchiù / m’assimigghiava a taliàrimi / vistutu eguali cumu a mia / la stessa facci, l’occhiali / li scarpi, la cravatta, // una la matri, unu lu sgraviu / una la minna di lu latti.” (pag. 32).
Una poesia, la sua, di un elegante colto lirismo che si accentra sull’amore. Su quell’amore che pare essere il fulcro principale della sua esistenza, il punto di lacerazione e d’incontro tra caducità ed eternità, e viene divinamente dichiarato con versi che attingono proprio dalla profondità del sentimento la loro incisività. Quindi, versi che nulla ostentano, ma evocano con anima nuda la ricchezza e il rovello di un’anima sanguigna e tenace avvezza a scrutare l’intimo, traendo linfa espressiva dalle immagini, le sensazioni, i frammenti memoriali, per giungere a colmare il lettore di una significativa attività d’intenti e di pensiero e a proporgli la riconquista di una più giusta idea di poesia.
Infatti leggendo questa raccolta, non si può non notare l’estrema raffinatezza che si trova in molte liriche in essa racchiuse, come ad esempio: “Scinni / di ‘stu letti di sita / e gràpimi d’umbra / la to’ finestra // pi ‘sti campani azzola / cu l’ali di la prima matina. // E tu / mari supra mari / vola / e canta // stiddìa ni l’arcòva / arrivìscimi” (Arriviscimi pag. 9).
Amore, quindi, ma anche voglia prepotente di tornare ad una vita degna di essere vissuta e che, dunque, si fa lotta, potenza creativa che si allontana dalle formule retoriche per liberamente esprimere e lasciare emergere un pathos interiore notevole: “Disìu ca nun passa / ca nun canta // disìu annidatu na li pinzera / disìu ca nun havi pietà // né stiddi pi la notti // (l’aceddi di lu ventu / vularu ’nfuti a li cimi / e passaru / lassannu ntall’aria / nuvuli e silenzi) …” (Disìu pag. 26).
Quello di Salvatore Di Marco, poeta dialettale, risulta un canto in vernacolo impregnato, per l’appunto, di lirismo, che parte dal lontano 1956 e giunge ad oggi, avendo il coraggio di perseguire caparbiamente le strade ardite della nostra essenza isolana più schietta. Egli raggiunge ciò tramite il suo naturale trasporto verso il dialetto, i suoi personali approfondimenti sulla poesia siciliana e senza mai rinunciare alle parole del cuore, al fine di raggiungere mete che sicuramente utilizzano un linguaggio moderno e sostanziale, magistralmente intrecciato di corrispondenze ed allusioni, che rappresentano il massimo di una ricercatezza poetica che nulla ha da invidiare alla grande poesia. Un canto verace e sentito che si fa nota dell’anima, della sua luce e delle sue ombre: “Haju lu sversu: / lu munnu nun mi piaci cchiù / sta casa è surda / e nun m’arrispunni di nenti: // suspiru e suspiri ‘nvacanti. …” .(Lu sversu pag. 48)
Ecco che questa evidente ammissione di un momento di intimo sconforto diviene bellezza di una mente attiva che mai rinuncia a scrutarsi, creazione robusta che a noi l’accosta, portandoci a considerare l’eterna difficoltà d’esistere senza l’appiglio d’un bagliore più grande, che sempre tenta di farsi parola, speranza, autentico nutrimento per lo spirito di quell’intricato, singolare labirinto che è l’uomo.
Salvatore Di Marco, CU RIMITA MENTI, Quaderni del “Giornale Di Poesia Siciliana”, Palermo Febbraio 2010
Mariolina La Monica,
Casteldaccia, 9 febbraio 2012
Salvatore Di Marco è stato, ed è, protagonista diretto e testimone fra i più ferventi delle vicende della poesia dialettale siciliana dal secondo dopoguerra ai nostri giorni, oltre che letterato fra i più autorevoli. Un plauso, dunque, a Mariolina La Monica e ad entrambi nonché al generoso padrone di casa, Pino Vetromile, un affettuoso abbraccio, Marco Scalabrino.
RispondiEliminaRingrazio Marco Scalabrino,poeta dialettale notevole, per la sua preziosa condivisione, Mariolina
EliminaLa Monica
Non ho avuto il piacere di leggere quest'ultima opera di Salvatore Di Marco su cui non ho dubbi riguardo al valore,lo stile e lo spessore umano della Sua poetica. Ho il piacere,invece,di leggere l'attenta recensione di Mariolina Monica,poetessa e scrittrice di grande sensibilità e ricettività che sa leggere tra le righe,riconoscere l'animo umano e coglierne la poesia.
RispondiEliminaRita Elia
Un grazie a Rita Elia,anch'essa poetessa e amica, di prestigio,
EliminaMariolina La Monica
L'autrice in questo excursus critico sull'opera di Salvatore Di Marco ha colto il substrato esistenziale e l'ha ricoperto elegantemente, come fa la terra che stende un manto di foglie sul pianto dell'autunno.
RispondiEliminaFrancesca Simonetti
Non ho avuto il piacere di leggere quest'ultima fatica di Salvatore Di Marco, artista che, però, conosco, stimo e apprezzo da molti anni e della cui amicizia e familiarità, mi onoro, ma l'attenta indagine di Mariolina La Monica, mi guida in un percorso, sicuramente ricco di punti d'interesse che la poetessa ha evidenziato con competenza e partecipazione emotiva di altissimo livello. Conoscendo Mariolina, non mi meraviglia che la sua sensibilità elegante e raffinata abbia saputo cogliere il nucleo vitale delle parole di Salvatore Di Marco, parole raccolte nel corso degli anni, sempre nuove, come nuova è sempre l'opera che ha senso e valore.
RispondiEliminaMi complimento con la dolce Mariolina, con l'autore, con Pino Vetromile e a tutti rivolgo il mio affettuoso saluto.
Flora Restivo.