Non si può essere veri poeti se non si cerca di
concretizzare le proprie idee creative modellandole come docile creta su un
qualsiasi filone importante e fondamentale della nostra esistenza, che abbia
sfumatura sociale, filosofica, persino politica. E cioè: cantare tanto per
cantare, per il solo gusto di ascoltarsi e di compiacersi, può servire fino a
un certo punto, può rispondere solo limitatamente allo scopo che la poesia alta
si propone: quello di mostrare, di raccontare, di dire le cose, la realtà, la
storia e la geografia dell'uomo calato nel suo tempo. Giuseppe Iuliano è uno di
questi grandi poeti attuali, che, possiamo dire, anche se il termine non è
proprio elegante, "utilizza" la poesia per dire le cose veramente
come stanno. E' vero che la poesia è coraggio e schiettezza, autenticità
cristallina, riferimento luminoso in un mondo che a volte si trascina
nell'inettitudine e nel qualunquismo. Ed è anche vero, come il buon Montale
ebbe ad osservare, che la poesia non fa male a nessuno, eppure quasi
inavvertitamente la poesia ha rivoluzionato mode e pensieri, comportamenti e
politiche. Forse il suo sottile scorrere come fiume sotterraneo nella società e
nella storia, ha davvero influito sulle scelte dell'uomo, ma comunque non
"facendo male", anzi, raddrizzando e re-indirizzando le strade!
Giuseppe Iuliano, amico in poesia da tantissimo tempo, è un
autore di grande talento letterario, che ha un suo dettato poetico ben
delineato e strutturato, che porta avanti con assiduità ed impegno. La sua voce
è la voce della terra, delle istanze contadine e non solo contadine, è la voce
dei denigrati e dei dimenticati, ma è anche la voce dell'amore, del fuoco, dei
valori, della memoria. E' la voce dell'Irpinia, dove per Irpinia può essere
inteso non solo un territorio italiano di serie B, ma metaforicamente tutte le
terre e tutti gli stati sociali che soffrono sfruttamenti, deprivazioni, fuga
di braccia e di menti, e quant'altro possa contribuire in negativo allo
svilimento di una situazione annosa e abbandonata a se stessa. Io ci vedo, nel
canto veemente di Giuseppe Iuliano, una sonora e splendida continuità con Rocco
Scotellaro, con Vittorio Bodini, per esempio. Poeti che hanno amato con
disperazione la propria terra e le proprie origini. Bene si inquadra, allora,
in questo contesto, la lunga e puntuale prefazione di Antonio La Penna, quando
afferma di ritrovare in Giuseppe Iuliano l'"indignazione" del
poeta e retore latino Giovenale, indignazione che sovente assume carattere di
protesta, con staffilate ammorbidite soltanto dalla schiettezza e dalla
sonorità del verso, come nella lirica "Come il vento", che in un
certo qual modo può sintetizzare il pensiero poetico di Iuliano a questo
riguardo: "Al vento chiedo frusta di giustizia / su questa terra
spremuta e offesa / vuota d'umanità, serva / di profezia di nessun verbo, /
erba voglio di legge su misura." Parole aspre, che la poesia rende
ancora più incisive, nella giusta generalizzazione di un concetto di giustizia
sociale e di libertà valido per tutto e per tutti, non solo per l'Irpinia.
Vento di fronda è dunque titolo appropriato per un'opera che vuole non solo
denunciare, ma "spazzare" via, per quanto possibile, con l'aiuto del
vento, appunto, le negatività che affliggono lo stato sociale dell'uomo
incasellato in una terra amata ma "odiata per il suo silenzio muto".
Ed è lui stesso, Iuliano, vento di fronda, che "spezza spazza trascina
/ insemina le zolle e cielo e mare rasserena...", perchè "partigiano
del mio tempo respiro resisto / e vivo. Sono vento di fronda".
Si tratta dunque di un'opera matura, quest'ultima raccolta
poetica di Giuseppe Iuliano, che va a collocarsi nella continuità di uno studio
creativo, letterario e lirico, che l'autore irpino persegue fin dall'inizio della
sua lunga carriera di poeta: i suoi libri costituiscono infatti delle
importanti pietre miliari lungo il difficile percorso di un'attività poetica
che vuole indicare, mostrare, far vedere, più che narrare, le caratteristiche
umane, sociali e territoriali, nude e crude, cioè così come realmente sono,
spogliate d'ogni falsa retorica, d'ogni melensaggine o abbellimento o trucco
per la regia. Così "è" il contadino, il lavoratore sbalestrato
de "La guerra di Pietro", così sono le donne del paese, che
"hanno fianchi colmi / larghi di parto / e braccia operaie / di
fabbrica o di terra / palestre di muscoli / di nessun passatempo...".
E naturalmente il discorso poetico di Giuseppe Iuliano, che, lo si avverte, è
profondamente radicato alla sua terra, per i valori primari che essa
rappresenta e continua a rappresentare nonostante tutto, va a completarsi in un
quadro molto dettagliato, che comprende anche altri interessanti aspetti, in
particolare la giustizia sociale, la storia, la pace, l'amore, i ricordi.
Questi aspetti si incuneano nel libro, tra una poesia di denuncia, diciamo
così, e l'altra, come ha ben rilevato Antonio La Penna, che scrive tra l'altro:
"...in questi brani la tensione dell'indignatio si scioglie. La rabbia
può anche strozzare la poesia; ma in parte questa raccolta è ispirata alla
'sorda malinconia' o da una tristezza severa o
anche da una tristezza più dimessa...".
Non resta che leggere e rileggere il libro, come si fa con
la buona poesia, tenerlo a disposizione sulla scrivania per assaporarne quando
si vuole il gusto profondo di verità, i lacerti di amarezza e di giusta
"indignazione" che scaturiscono da questi versi fluidi e cristallini,
l'amore profondo per la terra irpina, ma direi per tutta la terra, quella che è
madre e che nel crederci e nel coltivarla ci rende davvero uomini.
Giuseppe Iuliano, "Vento di fronda", Delta 3
Edizioni, Grottaminarda (Av), 2012. Collana "Pugillaria", diretta da
Paolo Saggese. Prefazione di Antonio La Penna.
Giuseppe Vetromile
1/9/2012
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