Progettare e organizzare una raccolta di poesie che abbia un
filo conduttore più o meno evidente, ma che abbia soprattutto un mondo omogeneo
da proporre, senza eccessivi sfilacciature o dettati esondanti dal contesto
poetico che ribolle e preme dall'intimo, è lavoro alquanto complesso e
certosino, se non si vuol realizzare una mera raccolta di versi sparpagliati e
basta. Ed è importante il titolo, già segnale indicatore di quello che il poeta
autore vuole dire, ed è importante l'esergo, altro faro illuminante lungo la
pista, a volte impervia, che penetra nei meandri più segreti ed autentici
dell'autore. Insomma, leggere un libro di poesia, di quelli che veramente hanno
spessore e che scompigliano in un certo qual modo la nostra inerzia o
sonnolenza di lettori poco attenti, è un'impresa che si deve affrontare col
dovuto rispetto, impegno e piacere.
Mi sembra che il recente lavoro poetico di Franco Casadei,
"Il bianco delle vele", rispecchi in pieno quanto appena detto.
L'esergo è chiaro: si parte da una citazione della Szymborska che, a parte
l'assunzione di un impegno non indifferente da parte del Casadei, impegno che
dimostra di mantenere e di sostenere davvero con forza e capacità letteraria,
lascia perlomeno smarriti: "Ho passato tutto il giorno senza far domande,
senza stupirmi di niente..." Ed è dunque da qui che partono "le
vele" di Franco Casadei. Si tratta di un viaggio nella natura e nell'uomo,
come afferma nel titolo la prefatrice Antonia Arslan, in cui il poeta affronta
a tu per tu il mistero della morte, la sua ineluttabilità, ma anche la
dolcezza, l'umanità che accompagna il mistero stesso, come per lenirlo in
qualche modo, come per accettarlo: "senza far domande, e senza stupirsi
eccessivamente", appunto: "Dovrà morire l'uomo, la pianta / e l'ape
indaffarata, / patire sfregi, chiodi sulla carne e l'odio...", scrive
Casadei nella poesia di apertura, come a voler prendere le distanze da tutta
una congerie di cavilli e di tentativi vani per vivere una vita che sia
soltanto rose e fiori. Ma qui non è rassegnazione, attestazione di una verità
che, purtroppo, ci sta sotto agli occhi tutti i giorni: il dolore esiste,
esiste la sofferenza, esiste la morte; ma l'intento del poeta è quello di
andare oltre, scavalcare i confini dell'ineluttabilità umana e naturale, per
cercare più in là: "... lo spazio aperto degli uccelli / sfidare il peso
della terra che mi attira / osare il volo senza alcun riparo...". Del
resto, Casadei sa bene cosa sia il soffrire e il patire: la sua professione di
medico alimenta la sua poesia di quell'umanità, di quella consapevole
vicinanza, rendendola più lucida e più vera, ma senza inutili pietismi, senza
esondare eccessivamente nell'amarezza e nel pianto.
L'apice di questa sua costruzione poetica, misurata ma
pregna, come dicevo, di grande umanità e spiritualità, possiamo trovarlo forse
in una poesia davvero toccante, "Bruno e Rosalba", dedicata ai suoi
fratelli di 11 e 12 anni annegati in un torrente sulle colline romagnole, come leggiamo
nella nota a pie' di pagina 18: "Quella sera, dopo la fiumana, la riva /
sfaldata al gioco delle vostre corse / ingenue, non siete tornati", recita
con profonda nostalgia il Casadei, e poi conclude: "... quel ventuno
settembre piangevo / per venire al fiume, avreste custodito / i miei tre anni,
vi avrei salvato, forse, / forse avete salvato me". Traspare quasi
evidente in questa chiusa il dolore contenuto, il rimpianto per non aver potuto
fare nulla per salvare i due fratelli, ma nello stesso tempo emerge dai questi
versi finali una sorta di catarsi, una palingenesi privata, interiore, che
nonostante tutto, rende forze nuove e salvifiche: "forse avete salvato
me"!
In questo senso il titolo, "Il bianco delle vele",
può essere inteso come una sorta di purificazione, di distacco dal male e dalla
morte, dalla sofferenza e dalle perdite: un crogiuolo di memorie fondamentali,
necessarie per guardare avanti, nella consapevolezza che l'uomo è carne non
duratura, ma è anche spirito che si eleva, che va oltre, nell'eterno viaggio
del cosmo verso la sua piena realizzazione. Non a caso, subito dopo "Bruno
e Rosalba", Casadei inserisce nel suo libro "Diventerò ancora te, mia
terra": "... diventerò ancora te, mia terra, / ascolta, ascolta che
matura il grano." E qui, il senso della speranza, della continua
evoluzione dell'uomo attraverso gli eterni cicli di vita/morte/rinascita, è
evidente.
Si potrebbe continuare il lungo viaggio nel mondo poetico di
Franco Casadei, con il "bianco delle vele" che spiccano di umanità
sulla sua nave terrena. Ma penso che questa mia breve riflessione sulla sua
poesia possa dare un suggerimento, anche minimo, ai lettori attenti, affinchè
possano approfondire ulteriormente questo libro, scritto con mano sapiente e
sicura di un poeta che merita certamente grande considerazione nell'attuale
panorama letterario e poetico nazionale.
Franco Casadei, "Il bianco delle vele", Raffaelli
Editore, Rimini, 2012. Prefazione di Antonia Arslan. Postfazione di Stefano
Maldini.
Giuseppe Vetromile
10/11/12
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