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TACCUINO ANASTASIANO

5 ottobre 2009

"La danza dell'angelo", un'opera di Luigi Franzese

Proponiamo qui di seguito la recente opera dell'artista Luigi Franzese, di San Giuseppe Vesuviano.


Un tubo di plastica, lavorato e modellato con sapiente tecnica, diventa il luogo per un’esplorazione a tutto campo culminata in un’esplosione di segni e di sensi originale e coinvolgente. Questo è la Danza dell’Angelo, l’opera con la quale il pittore vesuviano Luigi Franzese ha partecipato alla mostra "Angeli e Demoni" ideata e curata da Antonella Nigro e installata nel Castello Medievale di Agropoli (Salerno).
Esplosione di segni e di sensi, ho detto. E difatti la Danza si propone all’attenzione del fruitore per le molteplici implicazioni semantiche che ne fanno un’opera complessa e intrigante. Alta m. 2,37 x cm. 27 di diametro, l’opera presenta tre sezioni, ciascuna delle quali molto ben individuabile perché la luce che la illumina dall’interno rende evidenti le differenze di segni e di colori che la caratterizzano. Partiamo dalla sezione inferiore. Il colore nero dominante alla base, e i segni tracciati sulla materia con un gioco di sottrazione e ridisegnamento, che nella loro ambiguità semantica rinviano a fiori o volatili, richiamano la terra vesuviana il cui emblema più noto e riconosciuto – il Vulcano “sterminatore”, vero fantasma della mente di Franzese – ben si intravede nelle linee di quelle forme che sembrano venir fuori dalla terra stessa, rappresentandone un’escrescenza, una continuazione, una sorta di un gioco entropico del movimento della materia/natura. Terra nera che, sostenendo su di sé il rosso della luce che alimenta questa performance estetica, rinvia ad un’altra simbologia, quella del luogo infernale, regno delle passioni, delle esagerazioni incompatibili con la vera natura umana, e quindi sede dei diavoli che, come nel poema dantesco, sono i più vicini alla terra, anzi sono nella terra stessa. Il fuoco delle passioni è capace di bruciare qualunque equilibrio e, insieme alla terra nera, simbolo appunto della nostra terrestrità, sta lì a significare la nostra fragilità umana. Salendo lungo l’opera si perviene alla sua zona mediale. Sembra di essere pervenuti in un luogo di sosta dello spirito, che richiama atmosfere purgatoriali anch’esse di dantesca memoria, luogo dove si ha l’impressione che a dominare sia un senso chiaroscurale dell’esistenza, evidenziato da assenza di cromatismo espressivi e di slanci e sussulti dell’anima dell’autore. E difatti si è lontani dalla terra e dalle passioni umane, e lontani dal cielo e dalla purezza dello spirito. E si perviene intanto alla terza sezione, quella superiore, connotata da una incredibile ricchezza semantica. L’autore ha rintagliato nella materia tre angeli; il materiale sottratto nella creazione di uno di essi, raffigurante appunto una creatura divina, è stato poi sospeso all’interno ad un filo sottile e risulta semovente in virtù di un respiro di vento anche leggero. Nella stessa materia l’autore, sempre lavorando per sottrazione, ha impresso delle stelline, il tutto a simboleggiare l’altra presenza richiesta dal tema imposto agli artisti, proprio quella degli angeli che, a differenza dei demoni conficcati al centro della terra, immaginati e indovinati ma non direttamente visibili, occupano lo spazio celeste, lo spazio tra le stelle, non a caso rappresentate a gruppi di tre, in rapporto alla consueta numeralogia rispettata da Franzese che, come da tradizione, vede in quel numero il senso della perfezione e della purezza. È questa parte dell’opera che ha spinto l’autore ad attribuirle il titolo di Danza dell’Angelo. Si tratta, in effetti, di una danza semanticamente sorprendente: l’angelo si è staccato dalla materia e danza nell’area del cielo, con movimento estremamente lento, a stento percepibile, tanto che sembra immobile nello spazio, tutto assorto nella sua preghiera, quasi pensoso e malinconico; da quella sua posizione, che lo proietta verso il cielo, se ne sta con la testa chinata verso il basso, verso la terra, verso i poveri mortali, come a voler vigilare su di loro e a guidarli verso un cammino che li allontani dalle passioni e dalle tragedie del corpo e dell’anima. Insomma: il Paradiso dantesco, che non è luogo lontano e irrelato, ma regno di beatitudine che non si distrae neppure un momento dalle condizioni dell’uomo sulla terra, al quale, anzi, si vuole offrire una guida, un’àncora di salvataggio, e cioè la delineazione di un cammino salvifico, l’itinerarium mentis in Deum, il cammino che la mente dell’uomo deve effettuare per “indiarsi” o, comunque, per trovare il senso di sé e, quindi, il senso vero della vita. È probabile che anche in questo l’immaginario di Franzese sia stato influenzato dalle suggestioni della poesia dantesca. E difatti la danza è uno dei motivi attraverso i quali le anime del Paradiso manifestano il loro grado di beatitudine. E se è così, la rappresentazione dell’artista vesuviano assume anche altre significanze che ne testimonierebbero la complessità, l’originalità, la ricchezza. D’altronde, non sfugga che la parte superiore dell’opera, nella sua terminazione, richiama la forma della colonna troncata, quella che nella simbologia tradizionale ha sempre rinviato alla mortalità dell’uomo, alla sua non-eternità, alla sua fragilità. È la vicinanza dell’angelo, allora, a dare forza e coraggio all’uomo che si dibatte tra angeli e demoni in questa vita che forse proprio nel suo limite terreno conserva il senso più profondo di sé e il suo più autentico significato. Che cosa è successo, dunque? Un semplice, e vile, oggetto materico nelle mani dell’artista è diventato, come ho detto nella parte iniziale di queste note, un meraviglioso oggetto estetico, ricco di segni e di sensi. Franzese si è addentrato nello spirito del tema posto, o imposto, agli autori che hanno partecipato alla mostra, con tutto l’ardore intellettuale, lo spirito critico e l’immaginazione poetica che lo sostengono nelle sue creazioni. Il risultato è appunto il frutto delle sue riflessioni sul tema. Anzi, il risultato è in linea con la produzione artistica generale di Franzese, tanto è vero che i segni pittorici sono quelli ricorrenti nella sua grammatica e nella sua sintassi: i colori usati, i segni impressi sulla materia, la stessa numeralogia, sono una costante del nostro artista che, qui, ancora una volta, dimostra una concezione dell’arte intesa come studiata e consapevole forma nella quale si inverano i contenuti elaborati con studio approfondito e accurate indagini. L’arte, infatti, è concepita come operazione conoscitiva che consente all’artista di scoprire la realtà indagandola nei meandri più riposti. E Franzese qui ha dato una prova ulteriore che proprio quella è la dinamica creazionale. Lo dimostra anche il fatto che quest’opera è caratterizzata non da realistica rappresentazione o scontato figurativismo, ma da un simbolismo voluto, cercato e realizzato attraverso allusioni, ambiguità semantiche, forme espressive velate, il che connota l’opera di levità formale ed eleganza di toni e la rende profondamente suggestiva perché capace di parlare il vero linguaggio dell’arte.
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E' indubbiamente un'opera completa sotto tutti gli aspetti: della creatività, dell'aderenza al tema proposto nell'ambito della rassegna, dell'indovinato utilizzo di una materia, un tubo di plastica, che di per sé non ha nulla di artistico, ma soprattutto del forte simbolismo che tale creazione del Franzese suggerisce. Egli ha infatti saputo cogliere, ideando e realizzando quest'opera, il profondo rovello dell'uomo dimidiato tra il bene e il male, nel suo percorso in salita elicoidale lungo le pareti di una Torre di Babele (il tubo, il cilindro) che si inizia dal baratro dell'inferno e cerca di raggiungere lo splendore degli angeli nel cielo infinito.
Il tutto è composto con meravigliosa perizia artistica che coinvolge e sconvolge continuamente l'animo dell'osservatore anche più distaccato.
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L'opera di Luigi Franzese nella sua realtà







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PUNTO, Almanacco della Poesia italiana

PUNTO SCHEDA

ARCARTE - IL VIAGGIO DELLA CREATIVITA'

Si è svolto il 30 novembre scorso, alle ore 17, presso l'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, Palazzo Serra di Cassano in Via Monte di Dio 14, Napoli, il Convegno di studi e reading di poesia "ARCARTE - IL VIAGGIO DELLA CREATIVITA'".
All'interessante incontro, promosso e organizzato dall'Istituto Culturale del Mezzogiorno e dall'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, hanno preso parte:
- Natale Antonio Rossi, Presidente Unione Nazionale Scrittori Artisti;
- Ernesto Paolozzi, Università di Napoli Suor Orsola Bnincasa;
-Antonio Scamardella, Università di Napoli Parthenope;
- Antonio Filippetti, Presidente Istituto Culturale del Mezzogiorno.
Nell'ambito del convegno si è svolta la rassegna "Liberi in Poesia", con la partecipazione di autori di diverse generazioni. Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha conferito ad "ARCARTE" quale suo premio una medaglia di rappresentanza.

Le foto del convegno

Presentazione "Sulla soglia di piccole porte"

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