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IL CIRCOLO LETTERARIO ANASTASIANO CONTINUA SU:

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TACCUINO ANASTASIANO

10 novembre 2007

Ines Hoffmann, PARTO, traduzione di M. Scalabrino

Ines Hoffmann, PARTO, Samperi Editore, 2007. Versione in italiano di Marco Scalabrino

E’ noto che la poesia fonda sovente il suo principale motivo d’essere e di mostrarsi sulla metafora, e si ricordi ad esempio il bellissimo film “Il postino”, in cui il portalettere, magistralmente interpretato da Massimo Troisi, cercava di imparare a scrivere poesie dal Maestro Pablo Neruda, il quale gli confidava che una buona poesia non poteva non contenere quegli strani giri di parole o doppi sensi chiamati appunto metafore. E proprio in questo bel libro, scritto dalla poetessa brasiliana Ines Hoffmann e “riscritto” (è il caso di dirlo) dal nostro bravo Marco Scalabrino, non nuovo a questi impervi e appassionanti lavori di trascrizione, la metafora risalta subito agli occhi, già nel titolo: “Parto”. Una metafora sottile, che intende e sottindente un viaggio materiale ed anche umano attraverso la vicenda personale propria dell’autrice, punto di partenza da cui, come bene afferma Licia Cardillo Di Prima nella prefazione–presentazione, la poetessa fugge “per potere sognare / e piangere”: una solitudine meditativa per maturare e riflettere su “quel grande amore / che si è smarrito”. Partenza dunque per un viaggio nuovo e affascinante, ricco di sorprese, lasciandosi alle spalle “finestre chiuse e porte sprangate, gettando in mare la chiave…” Ma utilizzando il termine “parto” in prima persona, come titolo del libro, la nostra poetessa dà vita efficacemente ad una doppia interpretazione, nel senso di “generazione” di nuovi moti dell’anima, di sensazioni proiettate verso il futuro possibile: “Un giorno canterò / gli smeraldi che collocarono / in me. / Canterò lo splendore intenso / riflesso nello specchio: / speranza.” E ancora: “C’è una rosa / nel mio cuore / in attesa di qualcuno.” Ed è questo afflato poetico, questa tensione evolvente verso nuovi e più confacenti lidi di pace e di amore, che supporta tutta la tematica lirica della nostra poetessa.
Ma l’aspetto fondamentale della poesia che qui, proprio in questo bel libro, appare, è la dimensione universale, nel senso pieno di un codice comunicativo che è e rimane valido per sempre, e cioè la intensa e direi quasi millimetrica compenetrazione del mondo poetico dell’autrice con quello del suo traduttore, Marco Scalabrino. Sappiamo infatti che è sempre molto difficile per un traduttore operare una trascrizione del testo originale, e spesso il risultato non è mai genuino, rispondente a quello che l’autore vuole veramente esprimere: in poesia, le parole assumono infatti significati di notevole spessore e profondità, per non parlare poi delle figure retoriche e del “non detto” nascosto tra i versi. Marco Scalabrino invece, da bravo traduttore, dotato di un non comune intuito poetico (è d’altra parte validissimo poeta anch’egli!), è riuscito, come sempre, a calarsi pienamente nel mondo di Ines Hoffmann, indovinandone e persino in qualche modo anticipandone il dettato lirico, operando sui versi una sorta di smembramento e di successiva ricostruzione partendo, appunto, dall’originale moto ispirativo dell’autrice. Operazione audace e coraggiosa, dunque, ma portata a termine con grande competenza e, soprattutto, con grande amore e rispetto per la poesia, che proprio in questi casi si eleva dal particolare, dal contingente, dai confinamenti geografici e storici, per assurgere a canto di vita universale.

Giuseppe Vetromile
25 nov. 07

9 agosto 2007

Insensate apparenze, di Emiliano Cesari

In poesia non è possibile fuggire / sfuggire dal mondo (esteriore e/o interiore) e rifugiarsi entro schemi di prammatica, seguire volente o nolente la via preconfigurata dalla società in cui si vive. Altrimenti non sarebbe poesia. Estendendo il discorso, non sarebbe arte. In effetti, la poesia non ubbidisce a nessuno, essa rappresenta lo specchio spontaneo e genuino dei propri sentimenti: espressi innegabilmente in modo veritiero. Allora, apparentemente “Il poeta è un fingitore. / Finge così completamente / che arriva a fingere che è dolore / il dolore che davvero sente”: in realtà il nostro Autore, Emiliano Cesari, con questo esergo del Pessoa vuol dire proprio che il poeta è in realtà un comunicatore da interpretare in profondità, perché solo in superficie egli appare “finto”, aderente cioè allo schema convenuto della società. Il poeta finge per sentire ed offrire apertamente la propria verità e la verità che osserva e traduce con la sua arte letteraria. Così il Cesari è profondo nel suo dialogare con sé stesso, nel suo porgere una verità amara e spesso dicotomica (da una parte i bravi e i potenti, dall’altra lo squallore dei perdenti): “La verità io vi dico / è che sto morendo / e la cosa non mi interessa / anzi / vorrei accellerare i tempi. / Così parlava un bimbo / di appena 7 anni / quando gli spiegarono / la scienza della morte / che la fine di suo padre / spetta a chiunque.” E’ questa durezza che connota tutta la poetica del nostro Autore, un corpo letterario che mette a nudo i sentimenti più amari e nello stesso tempo appassionatamente intrisi di un genuino vigore e incitamento nel proseguire lungo l’impervio cammino della vita. La verità del Cesari è dunque questo apparente senso di disfatta che aleggia anche nelle minime cose: “La foglia si stacca dal ramo / per getterasi / innamorata / fra le braccia del terreno / ma mai lo ammetterà: / è colpa del vento / o della stagione”. E’ dappertutto il male e il disagio, negli uomini e nelle cose, nella vita di tutti i giorni e nel comportamento di una società niente affatto castigata, ma libera impunemente di commettere ogni sorta di iniquità. Il messaggio poetico del Cesari è dunque denuncia, una denuncia che però apre a speranze segrete e inattese: “Per cantare bisogna respirare / e un canto strozzato / non possiede la forza / il suono / la melodia / di un campo di girasoli / che canta inni amorosi / a un sole torbido d’estate”. E’ questo spiraglio, questo canto quasi inavvertito di girasoli ad un sole torbido e indifferente, l’unica salvezza, l’unico confine del poeta, che mai ferma il proprio passo, neanche di fronte ad una morte senza ragione.

Giuseppe Vetromile

Emiliano Cesari, "Insensate Appartenenze", poesie. Edizioni di latta, Milano. Prefazione di Maria Gabriella D'Agostino. Copertina di Olimpia Smith. Collana "Menti assetate", ottobre 2007.

Il Principe e il bibliotecario, di Giovanni Peli

“Aiutami a scrivere questi versi / che siano del tutto veritieri”: è l’incipit di questo interessante canovaccio poetico, quasi una ballata, o un canzoniere, se vogliamo definirlo così, visto che l’Autore, Giovanni Peli, è anche un ottimo cantautore. E in effetti, il suo verseggiare ritmico, cadenzato, richiama il suo sapiente destreggiarsi con la musica e la musicalità, e del verso e della storia. E la storia parla, canta e racconta, in un modo schietto e senza i classici peli sulla lingua, di vicissitudini e stati d’animo, di precarietà della vita e di ricerca dell’essenzialità. Il Principe, il Bibliotecario e la dittatura della fantasia, titolo quanto mai appropriato per questo lungo canzoniere, non sono altro che la metafora del potente, del sottomesso e della necessità vitale (“dittatoriale”) di una fantasia che serve a realizzarsi, a trovare uno schema congruo e soddisfacente nell’aguzzo procedere della vita quotidiana, con tutte le sue rigidezze e compromessi per equilibrarsi dentro i sì e i no della moderna società: “Dopo la colazione alle undici senza / contratto in mano apri un po’ le finestre. / Entra il sole col destino degli spettri: / dileguare e lasciare i problemi reali: /Amelia è tutt’uno con un mondo intero. / Su Vega la cosa funziona così.” E così Amelia, Vega, il Principe, l’Uomo-pesce, rappresentano i capisaldi – e li troveremo in tutto il poemetto, qua e là citati più volte – di una figurazione semifiabesca che il nostro autore, quasi come un antico menestrello, misura e ritaglia sui personaggi, facendoli muovere, pensare, parlare, riflettere. Ma c’è un personaggio centrale: Marco-cuore-raro. E’ lui il raccoglitore delle disfatte, il metabolizzatore di tutte le angherie e i mali, colui che ingoia tutte le storture e le ingiustizie, ed è consapevole di ciò, ma: “Marco-cuore-raro arriverà troppo tardi / con la boria del narratore mancato / con la pappa per il micio spelacchiato.”Tutta la raccolta poetica si snoda quindi come una lunga canzone, ma le imprevedibili trovate, le figurazioni, le scene e i personaggi, la loro vivacità impressionante, la loro verità di vita, anche negli angoli più rimessi e dimessi della quotidianità, rendono il procedere poetico gradevole e degno di attenzione. Bisogna meditare su certi aspetti della vita, che a volte rimangono tacitamente nascosti o difficili da estrinsecare e da prospettare: in questa raccolta l’Autore con coraggio li porta in superficie, e ci mostra che tutti siamo un po’ Principi, un po’ Bibliotecari, e un po’ (o forse molto) desideriamo l’evasione da certi stereotipi che ci ingannano e ci lusingano, ma ci impoveriscono. L’amarezza e la disillusione della fine non devono però scoraggiare anche il lettore: “Qui c’è solo da abituarsi e fare i fatti / e sfiorarsi e strofinarsi. / Termino il racconto e ne ho già nostalgia / perché la pagina è anche amica mia. / Ingranaggi arrugginiti come la speranza. / Passano le preghiere… / …le bisnonne coi tarocchi… / Che venga una parola che voglia dire / insieme bugia e insieme verità. / L’amore che tutto abbellisce e sotterra.”Come ogni bella storia ci insegna, l’amore (che, appunto, tutto abbellisce e sotterra), redimerà il mondo ed è questa l’ultima speranza.

Giuseppe Vetromile

Giovanni Peli, "Il Principe, il Bibliotecario e la dittatura della fantasia". Edizioni di latta, Milano. Copertina di Olimpia Smith. Collana "Menti assetate", marzo 2008.

Le Foto de "La Rocciapoesia 3"

Le foto dell'incontro de "La Rocciapoesia 2", a Pratella, il 27 ottobre 2012

Le foto dell'evento "Una poesia fuori dal comune". Sant'Anastasia, 23 settembre 2012

Una poesia fuori dal comune, Sant0Anastasia, 23 settembre 2012

PUNTO, Almanacco della Poesia italiana

PUNTO SCHEDA

ARCARTE - IL VIAGGIO DELLA CREATIVITA'

Si è svolto il 30 novembre scorso, alle ore 17, presso l'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, Palazzo Serra di Cassano in Via Monte di Dio 14, Napoli, il Convegno di studi e reading di poesia "ARCARTE - IL VIAGGIO DELLA CREATIVITA'".
All'interessante incontro, promosso e organizzato dall'Istituto Culturale del Mezzogiorno e dall'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, hanno preso parte:
- Natale Antonio Rossi, Presidente Unione Nazionale Scrittori Artisti;
- Ernesto Paolozzi, Università di Napoli Suor Orsola Bnincasa;
-Antonio Scamardella, Università di Napoli Parthenope;
- Antonio Filippetti, Presidente Istituto Culturale del Mezzogiorno.
Nell'ambito del convegno si è svolta la rassegna "Liberi in Poesia", con la partecipazione di autori di diverse generazioni. Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha conferito ad "ARCARTE" quale suo premio una medaglia di rappresentanza.

Le foto del convegno

Presentazione "Sulla soglia di piccole porte"

Enza Silvestrini, 11 ottobre 2012