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IL CIRCOLO LETTERARIO ANASTASIANO CONTINUA SU:

IL CIRCOLO LETTERARIO ANASTASIANO CONTINUA SU:
TACCUINO ANASTASIANO

9 dicembre 2013

Valeria Serofilli in uno studio critico di Nazario Pardini

RIFLESSIONI SULLA POETICA DI VALERIA SEROFILLI

Da Amalgama e Dai tempi. I quaderni dell’Ussero. puntoacapo Editrice Pasturana (AL). 2013

Un repêchage storico/memoriale su cui poter costruire un futuro con spirito positivo

“… Ma se Montale parlava a nome di un’intera generazione di poeti che vedeva smarriti e si rivolge al lettore con il tu confidandogli di non avere messaggi risolutivi, il mio intento è invece quello di rovesciare il segno radicalmente negativo <>. (F. Romboli). Urge, oggi più che mai, un poieo che non sia travolto dal mal di vivere ma solo intaccato, per non risultare avulso dalla realtà e tuttavia al tempo stesso capace di  infondere positività nel lettore. Oggi più che mai si avverte la necessità di una parola poetica che sorga spontanea, “come le foglie vengono ad un albero”, ricordando l’aforisma di John Keats¹, senza prescindere tuttavia dall’interiorizzazione e successiva elaborazione di almeno qualche strumento di base della scrittura. Urge, a mio avviso, una espressione, un sentire poetico in grado, per la sua universalità, di eternizzare, andando al di là del contingente e del particolare, come sottolinea il grande Aristotele. Perché non è affatto vero che “i poeti sono come i bambini: quando siedono ad una scrivania non toccano terra con i piedi”,  come scrive Stanislaw Jerzy Lec. Certa dell’impossibilità di dare una definizione esatta della poesia, concludo facendo mio il pensiero di S. Johnson ³, secondo cui più che parlare di cosa è la poesia oggi, sarebbe più facile dire cosa non è…” (Valeria Serofilli: La poesia oggi - dal blog: Alla volta di Lèucade, 07/05/2012).

Questo scrive Valeria Serofilli in un suo intervento sul tema “La poesia oggi”. E la sua poesia è folta di occasioni che prendono il via dalle piccole e dalle grandi questioni, dagli eventi, dalle suggestioni, dalle sensazioni, dalle emozioni, dove l’ardore allusive delle metafore incide sul dipanarsi del canto:

 Ora che l’afa
non cessa il suo morso lento / ma vorace
ti porterei con me, a toglierti un po’ di smog
di quel catrame trasparente / sedimento
della vita di sempre (Ora che l’afa);

incide sulla rievocazione meditata di grandi personaggi:

Ah! Se potessi / al vivere
non dover mai / dare
un resoconto!  (In morte di Mario Luzi);

o sulla immagine vitale del padre tra una folla intossicata di vita:


Ora che più manchi/ più non manchi
e la tua memoria a quest’ora
s’intride di luce
Anche qui, tra la folla / intossicata di vita
vocii richiami applausi
mi tieni compagnia” (Lettera a mio padre).

Ma non si arresta certamente a questa emotiva sollecitazione  mnemonica, o ad uno scusso realismo; se li trascina dietro, questo sì, nei suoi azzardi immaginifici e zeppi di buone intenzioni; nel bagaglio produttivo a cui attingere con autoptica e spontanea ricostruzione di quello che è rimasto a decantare; nelle sue riflessioni sul vissuto e i quesiti del nostro esistere demandati ad un verso che amplifichi i sintagmi per trasferirli oltre i significanti metrici del canto; significanti, che, pur alludendo alla via crucis del nostro vivere, ne annuncino una luce a schiarire le tenebre:

Padre Nostro
ti ringrazio per il giusto apporto di raggi quotidiano
e anche se il mio giorno trascorrerà
cliccando “mi piace” o “commenta”
salverò in bozze il mio telematico
ma mai anacronistico -Ti amo – (Moderno Padre Nostro),

perché la poesia non deve annichilire, né tanto meno scoraggiare in questa società bisognosa di impulsi positivi. E la poetessa lo fa ricorrendo alla parola che per lei è il tutto. È il corpo dell’anima. Ricorrendo a quel riposo edenico di cui c’è bisogno in questa convulsa vicissitudine; al sogno, che, esso stesso, ne fa parte:

Finché la sveglia non ci sottragga
a ciò che induca al sonno
ed alla mente il sogno,
il giardino sia quello delle Esperidi! (La sveglia).

E sta tutta qui la sua poetica: in quel mélange indissolubile fra dire e sentire. Una ricerca di vincoli sonori, di figure stilistiche, di allusioni verbali, di traslati, tramite cui trasferire l’immagine sedimentata oltre i confini. Perché è proprio dell’uomo ambire a toccare l’azzurro del cielo. Lo vive come esigenza. E sta anche qui la umana/disumana dicotomia fra la nostra “terrenità” e il fatto di essere spiriti lanciati oltre la siepe. Comunque, sa, la Serofilli, che con una ricerca attenta e assidua del verbo si può soddisfare la nostra brama di allungare il più possibile lo sguardo all’inarrivabile. Sta in questo tentativo arduo lo slancio novativo della poesia della Nostra. Una poesia che sgorga da un’anima pregna di sensazioni ed emozioni che vogliono uscire rinnovate in una visione di assoluto, di rinascita:

Che si rompa il guscio di pietra focaia e fionda
il cavernicolo di ripercussioni e invidia
Via l’involucro di mattoni vecchi
per rinascere acqua di lago / senza spreco
fondamenta più solide, anche se di palafitta
e poter dire infine “Evviva, è nato l’uomo senza
il guscio!” (Ab ovo).

Ma è cosa possibile forgiare un discorso che contenga pienamente gli abbrivi imprevedibili del nostro essere? D’altronde il verbo e la sua articolazione sono umani, ciò che non lo è la cospirazione del nostro spirito. Uno spirito che anela a superare i limiti, a slanciarsi oltre le misure di uno spazio ristretto. C’è anche, in questo “poema”, una richiesta alla natura di una sua collaborazione cromatico-allusiva. Del suo proporsi:

O non è forse / il solo
restare qui / abbracciati
mare monte lago
semplicemente noi
la nostra estate? (Ora che l’afa).

Ciò che si attua con una vera fusione fra l’animo dell’autrice e gli elementi panici che lo completano.
            Ed affidarsi a riflessi naturistici, a una simbiotica amalgama di poli contrari per simboleggiare la funzione di una palingenesi epifanica, rientra nelle  corde canore della Serofilli. Sì, perché lei crede nella poesia, le affida un grande compito: quello di una presenza in questa “società liquida”, fatta di “viandanti sperduti”, “intossicata di vita”. E il suo dire assume svincolamenti, forzature morfosintattiche, perché nell’anima della Nostra c’è l’intenzione di trasferire il contingente in sfere sublimanti:

Quando uscirà / il mio nuovo libro
avrà pagine di vento, i colori del tramonto
inchiostro d’alba / la pelle dei bambini
di tutto il mondo
Il mio nuovo libro / quando uscirà
sarò uscita anch’io, e fuor di scena detterò
parole intrise della saggezza
di chi non più la cerca
Sarà allora che il mio Editore
venderà copie a milioni / e le ristampe
e presentazioni ovunque /ed interviste
Quando uscirà / il mio nuovo libro
sarò famosa d’erba e nuvole
e da un angolo di cielo, assaporerò finalmente
ciò a lungo negatomi (Preghiera del Poeta).

            Un linguaggio metaforicamente complesso: diciamo di una semplicità complicata, ma pur sempre funzionale a una trama dalla bellezza eufonica di un verso essenzializzato. Di un verso che esonda ex abundantia cordis. Metafore che si accavallano in un gioco di innesti. Una verticalità senza fine. Metafore che non trovano un compimento assoluto, ma che generano a loro volta sostanza per nuove allusioni metaforiche. Un  castello fatto di tasselli stratificati, legati gli uni agli altri a sorreggersi, per cui, togliendone uno, uno solo, franerebbe l’insieme; nuocerebbe alla costruzione. Eccola la compattezza dell’opera della Serofilli. Un’opera di polisemica significanza, dai toni epico lirici, anche, ma di una sonorità da melodia pucciniana che tiene uniti, con il suo perpetrarsi in sottofondo, tutti i quadri della rappresentazione lirica. E ciò che aiuta questo fluire melodico – la sonorità è nella parola, nella disposizione dei nessi e negli intrecci  concentrici, disposti con naturalezza all’espansione – ciò che l’aiuta sono quelle rime interne o quelle assonanze, quelle metonimie o sinestesie che s’intersecano nell’articolato linguistico.
            Un realismo lirico? un ensemble di riccioli barocchi su facciate impreziosite da stucchi? - con accezione positiva, naturalmente -; un assemblaggio lessicale  nutrito di vaghezze semantiche? di perspicua sapidità disvelatrice? un forbito intrico di intensificazioni verbali? un esistenzialismo panico finalizzato a concretizzare un sapido pathos? un credo che innerva i versi della sua substantia per sfidare il tempo? il suo inderogabile fugere? la sua inesorabilità, e il senso eracliteo dell’esistere? Sì, io penso che nella poesia della Serofilli ci sia un po’ di tutto questo, con l’aggiunta di un repêchage storico/memoriale che faccia da piedistallo su cui poter costruire un futuro con spirito positivo. Una storia da programmare con grande abbrivo emotivo dove passato presente e futuro si embrichino indissolubilmente dando forma al logos della poesia; oltre il memoriale: “Sei l’antico etrusco / che abbraccio sul sarcofago / il bizantino con me nel Mosaico” (Dai tempi).
            Un poièin nuovo; o meglio una poesia che, ri-lucidando l’antico, si proponga attuale in una veste rivoluzionaria. Perché c’è tutta l’insoddisfazione delle sottrazioni umane, quella insoddisfazione del fatto di esistere che è stata sempre presente nella filosofia etico/estetica dacché l’uomo è uomo. Ma c’è anche quell’azzardo a scomporsi in scrittura sperimentale che può fare a meno di tanti nessi canonici, di interpunzione o altro, perché sente forte la necessità di arrivare al lettore, al dunque; sente forte l’input della libertà, dello sperdimento nel sogno; ma, soprattutto, lo stimolo a non perdersi per strada in questa corsa verso una simbiotica fusione fra essere ed esistere. In questa corsa verso un dire che annunci la propria esistenza; e che non si riduca solo ad “una solitaria esperienza senza gioia e senza orizzonti” di montaliana memoria; ma che gridi con tutta la sua forza la voglia di incidere sulle vicende umane; fino ad affidarsi all’unico giudice: l’Eterno:                            
                   
[…] Quando uscirà / il mio nuovo libro
sarò famosa d’erba e nuvole
e da un angolo di cielo, assaporerò finalmente
ciò a lungo negatomi
E se mi commuoverò
il mio sorriso / rifranto all’infinito
avrà tutte le sfaccettature
della luce, rugiada mattutina le mie lacrime
Il mio pubblico immenso:
ogni poeta / ogni ricerca di senso
Sarà storia il trascorso, il vissuto un esempio
consiglio ogni sbaglio
Senza rilegature le pagine, si spargeranno a mille
seme di giudizio / maturato a pelle, perle di esperienza

Rilassata / altrove, ne gusterò
il sapore, raccogliendo il frutto
del mio trascorso ardore
Ora che più non preme
anche se oltre, il senso, non
verrà disperso / eredità sofferta
ma mai rimorso, il tentativo di suggerimento
Non più resoconto
né agli altri, né a me stessa

Unico giudice: l’Eterno”

Nazario Pardini
7/12/2013

24 ottobre 2013

Sul crinale dell'utopia, un libro di Francesco Belluomini

Francesco Belluomini
Sul crinale dell’utopia

Giuliano Ladolfi Editore, 2013, pp. 264, € 20,00

È una vicenda realmente avvenuta, almeno in parte, quella narrata da Francesco Belluomini nel suo più recente romanzo, Sul crinale dell’utopia. Una storia che coinvolge, in parallelo, due personaggi, un viareggino, Eugenio Del Sarto, e un personaggio appartenente ad un’area geografica molto distante, un transcaucasico, Fiodor Leviskilyj, posti entrambi su uno scenario storicamente e ideologicamente comune e ricco di fermenti e contraddizioni, quello della guerra e dell’avvento del fascismo con le sue degenerazioni dittatoriali, nel primo caso, e quello della Russia della Rivoluzione sovietica e degli anni del progressivo “tradimento” dei valori di partenza, nel secondo.
Personaggio realmente esistito, singolare figura di “sovversivo” dalle caratteristiche umane e ideologiche peculiari, Eugenio Del Sarto (nella realtà storica, Eugenio Del Magro): nato a Viareggio nel 1887 e cresciuto in Versilia nei primi decenni del XX secolo, porta nel suo lavoro di dipendente delle Regie Ferrovie la sua fede politica di fervente sostenitore delle idee di giustizia ed uguaglianza sociale, incarnate nel programma del neonato Partito Comunista Italiano di Gramsci e Bordiga, della cui sezione viareggina diventa il fondatore, fino al punto di mettere a repentaglio col suo attivismo politico, assieme al suo posto di lavoro, la sicurezza e l’incolumità stessa della famiglia in nome del suo credo politico, ritrovandosi fuggiasco e perseguitato politico dal fascismo dapprima e poi anche dallo stesso comunismo, di cui si illude di poter contribuire a modificare le sue atroci deviazioni.
Inventato anche se storicamente attendibile nelle sue caratteristiche, invece, l’altro, il transcaucasico Leviskilyj, originario di Kirovabad, sul Mar Caspio, che si muove su uno scenario geograficamente quanto mai preciso e all’interno di coordinate storiche che sono quelle che interessano la Russia dei primi decenni del ‘900. Dopo un’infanzia difficile negli anni del drammatico tramonto dell’assolutismo zarista, il giovane e inquieto Fiodor si ritrova coinvolto, in nome di ideali che scopre estranei alle sue convinzioni, in eventi più grandi di lui (la rivoluzione bolscevica, la guerra civile col suo carico di morti e di orrori, l’espropriazione delle terre), finché non ne prende a poco a poco coscienza con crescente sgomento.
Ad accomunarli è, come si vede, il loro essere “contro”, la loro battaglia in nome di una libertà morale, prima ancora che politica, e la loro fedeltà a un’idea umana del potere. È per questo che Fiodor, colpevole di diserzione dall’Armata Rossa, si ritrova in un gulag, a Severo Vostocnyj, sul mar Caspio, esattamente là dove troviamo anche Eugenio Del Sarto, che, arrivato in URSS come giornalista, si è illuso di poter contribuire a migliore il sistema.
Due storie, dunque, due destini che si intrecciano e procedono letteralmente in parallelo, in questo che è un autentico romanzo-documento, e che Belluomini racconta con stile piano e lineare, cronachistico, quasi trattenendo e controllando l’emozione, per far emergere il valore paradigmatico di certe utopie che avevano coinvolto (e illuso) tanti inducendoli a scelte drammaticamente rivelatesi fallimentari, la distanza che intercorre tra l’utopia e la realtà.


Vincenzo Guarracino

3 settembre 2013

LA RIVISTA INTERNAZIONALE GRADIVA
E LA LIBRERIA EINAUDI IN FIRENZE
presentano

ASSURDO E FAMILIARE
IL SUD COSMOPOLITA DEL POETA VITO RIVIELLO 



LUNEDÌ 16 SETTEMBRE 2013, h. 18
VIA GUELFA 22

 MASSIMO ACCIAI    MARIELLA BETTARINI ALESSANDRA BORSETTI VENIER    ALESSIO DE LUCA    LUIGI FONTANELLA    IURI LOMBARDI   ROSARIA LO RUSSO    ANNALISA MACCHIA   MASSIMO MORI    GIUSEPPE PANELLA    PLINIO PERILLI     CATERINA POMINI    PAOLO RAGNI    LIDIA RIVIELLO

*

Materiali audiovisivi e fotografici di Dino Ignani e Paolo Ragni. Sarà presente Luigi D’Angelo, Presidente dell’Associazione Circolo Lucano e il Gruppo POETIKANTEN 

13 giugno 2013

Premio Borgognoni: i risultati della 46a. Edizione

La giuria della XLVI edizione del Premio Nazionale di Poesia "P. Borgognoni", composta da Giorgio POLI (presidente), Mario AGNOLI, Piero BUSCIONI, Elisabetta SANTINI e Donata SCARPA (membri), esaminate le 923 poesie dei 335 autori partecipanti, ha deliberato la seguente graduatoria finale: 1° Niccolò Andrea  Lisetti (Firenze) con la poesia Ciò che muore si apre; 2° Salvatore Cangiani (Sorrento - Na) con Come l’antico salice; 3° Fabrizio Bregoli (Cornate d’Adda - Mb) con L’estate di Mondello;  4° Lorenzo Cerciello (Marigliano - Na) con L’anno che verrà; 5° Mara Penso  (Venezia) con Proserpina. Hanno ottenuto una segnalazione: Vincenzo CERUSO (Palermo), Ivan FEDELI (Ornago - Mb), Fabio FRANZIN (Motta di Livenza - Tv), Giuseppe MANITTA (Castiglione di S. - Ct) e Fulvio SEGATO (Trieste). Hanno ottenuto una menzione di merito: Paolo Borsoni, Cesare F. Carta, Marisa Provenzano, Rosanna Spina e Luigi Zadi. La cerimonia di premiazione si è svolta regolarmente domenica 9 giugno nell’ampio e silenzioso giardino del Residence Artemura di Pistoia, sponsor dell’evento, alla presenza di un folto pubblico di poeti e cittadini che hanno potuto ritirare gratuitamente il volumetto del Premio. Le poesie sono state lette da Elisabetta Santini, attrice e poetessa, nonché membro della giuria. Sono intervenuti, su delega del sindaco, Elena Becheri, assessore alla Cultura del Comune di Pistoia, Giorgio Poli (che ha illustrato gli elementi salienti dell'edizione corrente, caratterizzata dalla compartecipazione del Comune di Pistoia, dalla resistenza alla crisi economica che morde tutti e ovunque e dall’abbandono della sede storica del Premio – il Palazzo comunale – per una nuova e straordinariamente funzionale collocazione) e, in qualità di ospite d'onore, il poeta fiorentino Sauro Albisani .
Il Presidente del "Borgognoni" (Cav.prof. Giorgio POLI)

6 giugno 2013

"Il senso della possibilità", di Antonio Spagnuolo, in una nota critica di Ninnj Di Stefano Busà

Con il senso della possibilità, Antonio Spagnuolo ci lascia smarriti, tale e tanta è la irrisolta, feroce contraddizione tra il prima e il dopo, tra l’essere e il dover essere, tra il cambiamento fatto di pensiero poetante e il discrimine, tra la fuga e l’addio, tra il tempo diacronico e sincronico, tra antinomie, segni fuggevoli, radici mnemoniche, abbandoni...ad ogni ora, sempre, riaffiora quasi esumato dalla polvere dell’impellenza retroattiva, un nuovo giorno catapultato nei bisogni esistenziali e nelle afflizioni che immobilizzano il sentimento e lo istruiscono nel percorso obbligatorio, inconcludente della materia. Ma è nel segmento nostalgico che segue ogni tratto del suo itinere che Spagnuolo distingue in modo sintomatico le sofferenze, le differenze, vagheggia come uno scolaretto al suo primo appuntamento, fa leva sulle intuizioni oniriche, sulle inumazioni che avvengono tra le due dimensioni: umana e intima l’una, ostile quella extraterrena, visita la gamma esperienziale linguistica che della poesia una campionatura piuttosto vivace e abbagliata, talché si potrebbe definire in termine anche “abbagliante”. La fascinazione della parola ricrea un modello unico e irripetibile di sospensioni dialettiche che lasciano il lettore disorientato e attonito per le continue bellezze e sinestesie e metafore che la nostalgia della donna amata sa ispirargli. La solitudine è implacabile e inamovibile: una forza che procrastina la sua vera morte in un’atmosfera che non è mai elaborazione e disincanto, ma consapevole approdo, orgia di necrosi, a metà tra la vita e il suo contrario. Quasi mobile altalena, ogni ancoraggio risulta perennemente in bilico, senza una via d’uscita, in ogni caso sempre in sospensione. Molte immagini ne presagiscono una indagine accurata, pignola, e uno scavo tra le ombre che riflettono ora più che mai il desiderio della moglie adorata. I limiti sono quelli di una prigione, i rilievi danno per scontata una fuga, un’evasione attraverso il precipizio della psicanalisi introspettiva, ma dove? quando? tra notti asimmetriche e memorie affrante, il suo sé ricostruisce itinerari di nevrosi, risucchi d’illusioni, ferite sempre aperte, che deformano talune allucinazioni memoriali abbandonandolo alla nostalgia e anzi sprofondandovelo, fin nella carne viva, nel perenne dissidio, come in una tensione difforme tra la realtà e il sogno, tra l’immaginifico e il vulnus che non argina mai il vorticoso malessere, la inarrestabile ricerca dell’amata: “inseguo le tue ombre quotidiane/ per rubarti un sorriso” oppure: “Scatta improvvisa la malinconia/ che graffia, che morde, che inasprisce/ le braccia per divenire abbandono.” (pag. 84)
Tutta la sezione dedicata ad Elena è un perverso e avvolgente sudario per ricordi incontrastati, una reverie “della docile materia, plasmata intorno ai volti ancora giovanili”. Il poeta vi accumula una tensione che si compenetra empaticamente con “l’altra” in una psicoanalisi di sopravvivenza che rimuova la smemoratezza, il vuoto dell’assenza, tutte le categorie perdute: felicità, presenze discrete, dolcissimi abbandoni  in un dispiegamento di simmetrie palpabili, di interferenze che sono continuamente espressione del suo disagio, rivelazione di una coesistenza immaginifica, tra il visibile e l’invisibile, fin quasi ad esasperare la dimensione dell’illimite, l’appartenenza e la commistione inconscia con l’oltre, di cui si fa carico il dolore: “ora forma dormiente / sei simbolo del nulla/.../e ricordo/ quando scrivevo per te versi gioiosi.” (pag. 97)
Il cielo ha voragini inconsulte,/ quasi le vene spaccano il sudario che riprova lente parole/.../ al confine dei nostri frantumi". (pag.99).

Vi è in quest’opera la forza prorompente di un guado, che cerca un attraversamento dello Stige, verso l’altrove, una inconscia eppure lucida pulsione di trasparenze contraddittorie che violano le necessarie formule di rito, la caducità dell’istante, l’imperfezione della morte: si fa forte questa poesia di una levità che, pur, nel baratro provocato dall’addio, percuote e plasma, come in un canto folle d’amore, le logiche della materia e ne fa arte della parola, linguismo per scalfirne infine il suo mistero, forse alla ricerca dell’assoluto di quella trascendenza che è comunione di bene, vincolo di luce perenne, nell’indistinto dello smarrimento e dell’autoanalisi di ogni azzardo.      

Ninnj Di Stefano Busà

22 maggio 2013

Le "Dicotomie" poetiche di Nazario Pardini


Perché questo titolo così particolare per un libro di poesie? Particolare e perentorio, aggiungerei, diverso certamente dalla maggior parte delle pubblicazioni poetiche, per le quali l'autore generalmente usa come titolo una delle poesie della raccolta, magari quella più significativa, per lui, o quella che più delle altre racchiude in sé il progetto comunicativo dell'intero libro. Ed è giusto, perché il titolo di un libro, che sia esso un romanzo, un saggio, una raccolta di poesie o altro lavoro scritto, deve in qualche modo richiamare l'attenzione sul contenuto, ne deve essere il faro attraente e non disperdente, ne deve essere il nocciolo, il nucleo, come il protone centrale dà significato e identità all'atomo e alla materia.
Dicotomie, dunque, è un titolo che fa eccezione, pur nella sua eccellenza ed eleganza verbale. Non è il titolo di una delle poesie inclusa nel libro, ma è comunque vero che il lettore attento (e amante della poesia, di una poesia niente affatto superficiale e blanda, bensì di una poesia di alto spessore qualitativo, sia per contenuti che per modalità espressive...) saprà individuare nel lungo e interessante filo poetico che l'autore, Nazario Pardini, tesse, i nodi, le coincidenze, i rimandi e le fondamenta comuni che uniscono una poesia all'altra. C'è infatti un cemento sostanziale di fondo, in questo libro, e parlo naturalmente della sezione dedicata alle poesie (il libro, come vedremo, è arricchito da altre sezioni letterarie), che riesce a tenere insieme gli impeti quasi deflagranti di un dire poetico a 360 gradi, come suol dirsi, e che accolgono le esigenze proprie del poeta a voler considerare il tutto osservato e osservabile anche se separato e lontano vicedenvolmente nel tempo e nello spazio. Da qui le dicotomie di Nazario Pardini, che non vogliono esprimere, secondo me, delle nette e categoriche divisioni o visioni del mondo in due parti opposte, una positiva (bene) e una negativa (male), bensì vogliono essere delle continue "oscillazioni" tra due o più poli di idee e contenuti, che nell'insieme si integrano e si completano: "Ora è il cemento che guasta la collina / e di gran corsa / l'odore di benzina. Su quel colle / non profumano più quei bocci bianchi; / ci sono uccelli a branchi / che roteano largamente sui detriti / dell'ingordigia umana" (Da: "L'albero in cima alla collina", p. 25): è solo un esempio, questo brano, e ne possiamo trovare tantissimi altri, di come già all'interno dei testi sia possibile trovare alternanze dicotomiche che separano, in questo caso, la natura (l'albero in cima alla collina, gli uccelli a branchi) dall'opera disgregante dell'uomo (l'odore di benzina, l'ingordigia umana).
Si avverte dunque una continua tensione, nei testi "dicotomici" di Nazario Pardini, uno stiramento, una elongazione, se è lecito usare questo termine tecnico, che tuttavia mantiene intatto il corpo poetico di ciascuna lirica, non provoca sfilacciamenti estremi o mancanze improvvise di territorio poetico. La poesia di Nazario Pardini è infatti un dire circolante e continuo tra quei "poli" referenziali di cui accennavo più sopra: la memoria e i ricordi, ad esempio ("Si faceva la guerra di trincea / nel fango delle veglie o del solleone ... / C'è un sorriso / sul volto della Storia ed il destino / gioca con noi e cambia il suo cammino", da "La trincea", p. 30); e poi l'umanità ("... Allora esisto. Esisto veramente. E questa è vera gioia. Quel che provo / è il potere dei sensi che traducono / il bello delle cose in sentimenti, / anche se vani, prova della vita", da "La prova della vita", p. 58), e poi ancora la natura: ("Mi trovo qui davanti alla tua piana / frammentata da scaglie ed azzannata / da becchi di uccelli voraci / ed insaziabili. Mare! Mio mare!...", da "Colloquio con il mare", p.61; e ancora:"Pinete, / sempreverdi alcove / di contorno al mare; / il profumo acuto / del pino e del moreccio / si fanno più forti in autunno..."; da "Pinete", p.113).
In questa circolarità di temi (che denota una profonda sensibilità umana e sociale da parte dell'Autore, anche e soprattutto nei confronti del mondo abitato e della natura, nel trattare con esiti poetici davvero alti la summa delle sensazioni, delle immagini, degli stati d'animo, delle riflessioni, degli slanci di rammarico ma anche di gioia, che troviamo disseminati in tutto il percorso lirico del libro), Nazario Pardini propone al lettore il suo progetto poetico, che è completo, che è originale, che è valido sotto tutti gli aspetti e modalità che fanno di un libro di poesie qualunque un ottimo libro di poesie, riferimento importante in questa piazza poetica attuale, dove il qualunquismo letterario la fa purtroppo da padrona.
Il linguaggio poetico di Nazario Pardini è molto interessante: è lirico, è diretto, a volte è colloquiale, un colloquio che è essenzialmente rivolto a se stesso, quasi un voler accentuare nelle domande che egli si pone, nelle riflessioni sulla vita e sulla morte, il mistero che non può esere risolto umanamente, ma soltanto in un confronto diretto con Dio ("Ti ho posto la questione tante volte! / Questa mia vita, / questa mia vita mia che cosa è mai?... Io la vorrei da Te, dall'Alto Cielo / la conferma che esisto per davvero", da "Esisto?", p. 42).
Il libro è complesso, tipograficamente gradevole e ben strutturato. Impreziosito dall'ottima e puntuale prefazione di Sandro Angelucci, è diviso in tre "scomparti" o sezioni poetiche: "Dicotomie", "Racconti in versi", e "D'amore di terra e di mare" (in cui sono raccolte le liriche dal 1980 al 1990). Vi è poi una lunga ed esauriente sezione del libro, alla fine, dove sono riportate le tantissime "Note critiche", prefazioni e commenti vari sulla poetica del nostro Autore. Tutto ciò fa risaltare ancora di più il prezioso messaggio poetico di Nazario Pardini, il quale si colloca certamente tra gli autori di poesia, e non solo, più validi e significativi dell'attuale panorama letterario nazionale.

Nazario Pardini, "Dicotomie", The Writer Editions, Milano, 2013; prefazione di Sandro Angelucci. Pagg. 317, Euro 16,00

Giuseppe Vetromile
22/5/13

4 maggio 2013

Bandita la XI Edizione 2013 del Concorso Nazionale di Poesia "Città di Sant'Anastasia"


E' stata bandita la XI Edizione del Concorso Nazionale di Poesia "Città di Sant'Anastasia", con una novità: l'introduzione di una sezione riservata al libro edito di poesia.
Qui di seguito il regolamento:





CONCORSO NAZIONALE DI POESIA “CITTA’ DI SANT’ANASTASIA” - XI EDIZIONE 2013

Regolamento

Il Comune di Sant'Anastasia (Napoli) indice e promuove la XI Edizione 2013 del Concorso Nazionale di Poesia "Città di Sant'Anastasia", avvalendosi dell'Organizzazione e Direzione Artistica dell’Associazione “IncontrArci” di Sant’Anastasia - Circolo Letterario Anastasiano. Al concorso potranno partecipare tutti i cittadini residenti in Italia o all’estero, purché i testi siano in lingua italiana.

SEZIONE POESIA SINGOLA

Si partecipa a questa sezione inviando una o due poesie in lingua italiana a tema libero, di lunghezza non superiore ai 50 versi, in 6 copie, di cui una soltanto completa di generalità, recapiti telefonici ed e-mail, e di una dichiarazione firmata in calce che ne attesti la paternità.
Nell'ambito di questa sezione è anche possibile presentare un'ulteriore poesia ispirata al tema: "Ambiente e territorio vesuviano", in lingua italiana od anche in vernacolo napoletano, sempre in 6 copie di cui una con le generalità.
Si precisa che l'Organizzazione non pone alcuna restrizione sull'inedicità delle poesie presentate, o se trattasi di testi già premiati e/o segnalati in altri concorsi: unica norma da rispettare è che l'autore dichiari che il testo presentato è di sua esclusiva creatività e proprietà.

Si richiede un contributo unico per spese organizzative di Euro 10 (dieci) da versare su c.c.p. nr. 63401236 intestato all’Associazione “IncontrArci”, con causale: Concorso di poesia Città di Sant’Anastasia XI Edizione, Sez. Poesia Singola. Fotocopia del versamento dovrà necessariamente essere allegata agli elaborati.

Premi

Soltanto per la sezione a tema libero in lingua italiana, sono previsti i seguenti premi:
1° premio: Euro 600; 2° premio: Euro 350; 3° premio: Euro 250.

In base alla graduatoria generale stabilita dalla Giuria, saranno inoltre premiati con Targhe ed eventuali premi speciali:
- la migliore poesia ispirata al tema "ambiente e territorio vesuviano";
- la migliore poesia di un Autore giovane (fino a 23 anni);
- la migliore poesia di un Autore del territorio (Sant'Anastasia e dintorni).

SEZIONE POESIA EDITA

Si partecipa a questa sezione con un libro di poesie pubblicato non anteriormente al 2010.
Il libro va consegnato in 4 copie, accompagnato da un foglio che riporti le generalità complete dell'Autore, i suoi recapiti telefonici ed eventuale e-mail.
Si richiede un contributo per spese organizzative di Euro 5 (cinque) da versare su c.c.p. nr. 63401236 intestato all’Associazione “IncontrArci”, con causale: Concorso di poesia Città di Sant’Anastasia XI Edizione, Sez. Poesia Edita. Fotocopia del versamento dovrà necessariamente essere inclusa nel plico.

Per questa sezione è previsto un unico premio di Euro 500.

DISPOSIZIONI GENERALI VALIDE PER AMBEDUE LE SEZIONI A CONCORSO

1) E' possibile la partecipazione contemporanea ad ambedue le sezioni di poesia singola e di libro di poesia, versando il contributo totale per spese organizzative pari a Euro 15 (quindici).

2) I plichi dovranno essere spediti unicamente al seguente indirizzo: SEGRETERIA DEL CONCORSO NAZIONALE DI POESIA “CITTA’ DI SANT’ANASTASIA”, PRESSO UFFICIO POSTALE DI MADONNA DELL’ARCO, 80048 MADONNA DELL’ARCO (Napoli), entro il 15 ottobre 2013. Si prega caldamente di evitare le raccomandate. Per la Sezione Poesia Singola è anche possibile l’invio per posta elettronica all’indirizzo circolo-lett-anastasiano@hotmail.it  In questo caso si dovrà allegare anche la fotocopia dell’avvenuto versamento, oppure indicarne gli estremi.
Gli elaborati non saranno restituiti. I libri entreranno a far parte della Biblioteca Comunale. L’Organizzazione non risponde di eventuali disguidi postali o mancati recapiti.

3) A discrezione dell'Organizzazione, e in base alle valutazioni della Giuria, potranno essere inoltre conferiti altri riconoscimenti consistenti in manufatti in rame dell’artigianato locale, libri e pubblicazioni artistiche messi a disposizioni da eventuali Sponsor.
I premiati e i segnalati riceveranno inoltre diplomi con motivazioni.

4) I nomi dei componenti della Commissione esaminatrice, il cui giudizio è insindacabile e inappellabile, verranno resi noti il giorno della premiazione, che si terrà in Sant'Anastasia in giorno e luogo da stabilirsi (comunque entro l'anno 2013). Soltanto i premiati ed i segnalati saranno tempestivamente avvisati.
Gli altri partecipanti potranno conoscere i risultati del concorso sui siti: http://concorsopoesiasantanastasia.blogspot.com; http://circololetterarioanastasiano.blogspot.com,  e sugli altri siti letterari, oppure telefonando in Segreteria.
I premi dovranno essere ritirati direttamente dagli interessati. Soltanto in caso di seria e comprovata indisponibilità, è ammessa la delega per iscritto. In caso contrario, i premi non verranno consegnati né spediti.
Ai sensi dell'art. 10 della L. 675/96, si assicura che i dati personali relativi ai partecipanti saranno utilizzati unicamente ai fini del Concorso.

Per eventuali informazioni, è disponibile la Segreteria (081.5301386 ore serali); e-mail: circolo-lett-anastasiano@hotmail.it.

L'Organizzazione ringrazia tutti coloro che vorranno diffondere la notizia del presente Concorso di Poesia.
Si prega di non attendere gli ultimi giorni per l’invio degli elaborati, onde facilitare il compito della Segreteria e della Giuria.    

I VINCITORI DELLE PRECEDENTI EDIZIONI

I Ediz. 2002: Clara Di Stefano (sez. A).
II Ediz. 2003: Salvatore Cangiani (sez. A); Giovanni Caso (sez. ambiente e territorio vesuviano).
III Ediz. 2004: Armando Saveriano (sez. A); Salvatore Cangiani (sez. ambiente).
IV Ediz. 2005/6: Gennaro Grieco (sez. A); Vincenzo Russo (sez. ambiente).
V Ediz. 2006/7: Carmen De Mola (sez. A); Armando Saveriano (sez. ambiente); Alessandro Nannini (sez. Giovani); Massimo De Mellis (sez. Locali).
VI Ediz. 2007/8: Giovanni Bottaro (sez. A); Agostina Spagnuolo (sez. ambiente); Vanina Zaccaria (sez. Giovani); Alessandra Mai (sez. Locali).
VII Ediz. 2008/9: Rodolfo Vettorello (sez. A); Adolfo Silveto (sez. ambiente); Erlinda Guida (sez. Giovani); Raffaele Liguoro (sez. Locali).
VIII Ediz. 2009/10: Paolo Polvani (sez. A); Rossella Luongo (sez. ambiente); Francesco Iannone (sez. Giovani); Domenico Cassese (sez. Locali).
IX Ediz. 2011: Loriana Capecchi (sez. A); Raffaele galiero (sez. ambiente); Giovanna Garzia (sez. Giovani); Anna Ruotolo (sez. Locali).
X Ediz. 2012: Benito Galilea (sez. A); Giovanni D'Amiano (sez. ambiente); Sandra Biondo (sez. Giovani); Floriana Coppola (sez. Locali).

29 aprile 2013

Il Premio "Giuseppe Pisano"



La Pro Loco di Montefredane
in collaborazione con il Comune di Montefredane(AV)
                        con il patrocinio della Regione Campania, della Provincia di Avellino 
e dell’UNPLI Provinciale di Avellino
indice il
Premio di poesia e giornalismo
“Giuseppe Pisano”
Il Premio è dedicato a Giuseppe Pisano (Montefredane 1938 – ivi 1998),
poeta, giornalista, scrittore, critico d’arte, responsabile de “Il Mattino” di Avellino
prima edizione
22 giugno ore 20:00
Castello Caracciolo di Montefredane
Presidenti del Premio:
Elvira Micco e Monia Gaita
Giuria del Premio:
Aldo Balestra (Presidente della giuria), Cosimo Caputo,
Annibale Discepolo, Mario Fresa, Antonietta Gnerre

Il Premio si articola in tre sezioni:
Premio alla poesia
Premio al giornalismo
Premio alla cultura

La giuria si è così espressa:
Premio alla poesia:  Fabrizio Dall’Aglio e Maria Grazia Calandrone
Premio al giornalismo: Vittorio Dell’Uva
Premio alla cultura:  Franco Arminio

Il Premio è rivolto a valorizzare personalità che abbiano illustrato la poesia, il giornalismo e la cultura facendo della loro opera un fecondo stimolo di riflessione, privilegiata ricerca creativa e confronto di pensiero a largo raggio oltre i confini territoriali d’appartenenza. Si propone altresì di favorire una più diffusa sensibilità verso il mondo della scrittura.
Segreteria del Premio: via P.Giordano, Castello Caracciolo, 83030 Montefredane (AV)
Tel. 346-9739411   oppure  347-1392423

28 aprile 2013

Il Nettare e la Musa, la nuova antologia curata da Armando Saveriano


E' da poco uscita una nuova Antologia, curata dal critico e poeta Armando Saveriano per i tipi della Casa Editrice PerVersi, di Grottaminarda (Av). Il libro, che s'intitola "Il Nettare e la Musa", raccoglie i testi poetici di cinque autori, oltre allo stesso Saveriano: Anna Ciufo, Alfonso Attilio Faia, Raffaele Della Fera, il giovane e promettente esordiente Gerardo Iandoli, e Giuseppe Vetromile.
Come afferma il curatore di questo interessante progetto antologico, "la Musa è l'ostrica perlifera che incorpora e rivela istinto, immaginario e linguaggio di sei poeti dallo sguardo lungo. La vertigine intellettuale di ognuno di essi fora spazi, innesta paradossi temporali, sorvola il limite dell'esprimibile, fa esperienza di consumazione mnestica, rastrella i cunicoli dell'interiorità, perlustra il campo delle vicissitudini epocali, analizza l'animale politico nella sua curva discendente, spara lo spot sui gangli bui del personale, del privato, sbaraglia il caos con un nuovo disordine, agisce con una smania di provocazione, si sposta sovente sul filo di una malinconia da smarrimento metafisico alla Cioran. Questa poesia tanto sfaccettata quanto spregiudicata spende le energie parnassiane, simboliste, neo-barocche, colloquiali, anti-liriche, esponendosi al pettine stretto di una critica che accetta il rischio della proposta, l'audacia del tiro di dadi, ma non perdonerebbe il contrabbando del baro sul calessino di una verità melliflua. Qui però non si dissimula l'inganno del mediocre. Qui proliferano tematiche ed idee, qui si raccolgono stelle e spirali d'insondabile abisso, qui si manifestano le fibre leali e reali di una scrittura indocile, percussiva, marchiante, bella e terribile, che decreta l'esclamazione dissacrante, fa sfavillare interrogazioni sagge e impertinenti, certifica che la danza segnico-verbale della Poesia s'impista in mille contraddittorii paesaggi: dall'elegante eclettismo all'affondo psicologico-esistenziale, dal dileggio ferale al vitalistico passaggio per la cruna del sofferto sociale."

AA.VV., Il Nettare e la Musa, a cura di Armando Saveriano. PerVersi Editori, Grottaminarda (Av), 2013.
Pagg. 154, Euro 16.00

21 aprile 2013

"Il vizio ineluttabile della scrittura": un aprile insolito


Grande e appassionata mobilitazione artistica e letteraria in quel di Avellino, il 20 e 21 aprile 2013, che, grazie alla puntuale e attenta organizzazione di alcuni operatori culturali della zona, tra i quali senza dubbio spicca il nome dell'Editrice Scuderi, ha visto l'entusiastica adesione e partecipazione di tantissimi artisti, letterati e poeti non solo irpini, ma provenienti anche da Napoli e da altri paesi della Campania.

C'era già stato un incontro nello scorso mese di marzo, dedicato alla donna, nella Biblioteca Provinciale di Avellino, sempre organizzato dall'Editrice Scuderi, e in quella sede si pensò di continuare gli appuntamenti artistici-letterari durante "due giorni" intensa e interessante. Così, "Il vizio ineluttabile della scrittura, un aprile insolito", ha dato luogo sabato scorso 20 aprile ad una serie di incontri che si sono svolti in vari luoghi e librerie di Avellino, per concludersi poi nella mattinata di oggi, domenica 21 aprile.
Non riportiamo in questa sede l'elenco completo degli incontri, tutti molto interessanti, che si sono svolti in questi due giorni, elenco che d'altra parte è facilmente desumibile dalla locandina diffusa per l'occasione, ma in particolare è doveroso citare quello che si è svolto all'Auser sabato pomeriggio, per l'argomento trattato: "Terra di pane - No petrolio", voluto dal Centro di Documentazione sulla Poesia del Sud, con Paolo Saggese, Peppino Iuliano, Salvatore Salvatore e Alfonso Attilio Faia., e inserito nel programma generale progettato dalla Scuderi.
Altri punti di incontro sono stati la Libreria Petrozziello e la Libreria Mondadori. Si sono svolti qui, infatti, due incontri di letture poetiche (il sabato sera e la domenica mattina), alla presenza di un pubblico piacevolmente interessato.
Riteniamo che tali iniziative vadano fortemente appoggiate e incoraggiate, per una maggiore e più coinvolgente diffusione della cultura artistica e letteraria sul territorio, da attuarsi anche senza l'ausilio delle istituzioni, le quali, sovente (purtroppo!) sono "distratte" da altre problematiche e scelte politiche; ma con l'impegno dei singoli artisti, letterati e poeti, nonché delle associazioni operanti sul territorio, è possibile realizzare, in collaborazione e sinergia, eventi di grande spessore. E' per questo motivo che la "due giorni" di Avellino, "Il vizio ineluttabile della scrittura", che è vizio solo ossimoricamente, quasi per protesta, deve continuare, con il meritato successo, anche in altre date e in altri luoghi del nostro martoriato e "trivellato" territorio, irpino e campano tutto.

Alcune fotografie scattate durante gli incontri:




20 aprile 2013

Nessuno ha mai visto decadere l'atomo di idrogeno: il nuovo libro di Dario Pontuale


A cosa servono i libri? Domanda difficile quanto retorica, forse inutile. Certamente si potrebbe rispondere in molti modi, tutti differenti l'uno dall'altro, e poi bisognerebbe prima stabilire: che genere di libri? Un libro scolastico serve per l'apprendimento, un saggio per approfondire le proprie conoscenze, un romanzo per trascorrere momenti di serenità e di pace immersi in un mondo "altro", possibile o probabile... Queste, alcune risposte che si potrebbero dare. Banali, ma piuttosto coerenti.
Ma ci sono libri che hanno un grande pregio. Il pregio cioé di allargare gli orizzonti, di indicare al lettore che, oltre alla storia in sé, esistono altre argomentazioni, altri panorami, altre storie insomma, di cui il lettore non era a conoscenza e che neanche immaginava potessero esistere. Ecco che allora, il libro diventa davvero una chiave per aprire mondi insospettati, che stanno al di là del narrato, al di là della storia in sé, anche se questa storia può essere senza dubbio interessante.
Si diventa più colti, più informati, si aumenta il bagaglio delle proprie conoscenze, al di là del puro divertimento che se ne ricava leggendo il libro.
Direi che questa funzione del libro è davvero importante, quasi primaria. Si tratta di informazioni aggiuntive, disseminate lungo tutto il percorso narrativo, che il lettore assorbe compiaciuto e alla fine si ritrova con importanti e interessanti nozioni in più.
E proprio leggendo quest'ultimo romanzo di Pontuale, ho avuto l'opportunità di conoscere e approfondire, tra le altre cose, un argomento che, diciamolo pure francamente, non è molto noto ai più. Parlo della Patafisica. La Patafisica è una corrente artistica-filosofica ideata dallo scrittore francese Alfred Jarry e definita come "la scienza delle soluzioni immaginarie". Ebbene, il primo elogio che desidero attribuire all'autore, è proprio questo: aver dato la possibilità al lettore, attraverso la lettura del suo romanzo, dalla prima all'ultima pagina, di apprendere via via questa filosofia. Che è una filosofia di vita, una possibile costruzione e frequentazione di un mondo che non c'è, ma potrebbe benissimo esserci. Quello che la patafisica, e il senso direi primario di quello che vuole suggerirci l'autore, tra le righe del romanzo, non è tanto la possibilità o la probabilità che possa esistere davvero una realtà sconosciuta, una realtà parallela a quella in cui siamo immersi, bensì credere, o immaginare, che ci sia, indipendentemente dal fatto che possa esistere davvero. E' importante l'immaginazione. E' importante il sogno. E' importante la disponibilità e l'apertura mentale a credere possibili altri mondi, o perlomeno altre situazioni di vita e di realizzazioni della propria felicità.
E così, il nostro autore costruisce una storia bellissima e intrigante, che prende il lettore e lo coinvolge fin dalle prime pagine, lo conduce quasi per mano attraverso una narrazione fluida, piacevole, nella quale egli intelligentemente attualizza e concretizza la filosofia patafisica. Il lettore se ne rende conto a poco a poco, ma viene preso anche lui negli ingranaggi, per così dire, della narrazione che ha, sempre, il riferimento all'apertura verso altre possibilità, al presumibile, alla soddisfazione dell'immaginazione costruttiva, al sogno, e, insieme, alla realizzazione di un'umanità più sincera e più aperta, più disponibile e quindi migliore.

Non staremo qui naturalmente a riassumere la trama né a svelare la conclusione del romanzo, per non togliere al lettore il gusto e il piacere di seguire le vicende del protagonista, Zeno Bizanti, e dei suoi amici con i quali viene a contatto grazie alla comune predisposizione al possibile, al nuovo, all'apertura mentale e alla ricerca appassionata. Ma è opportuno fornire qualche minimo dettaglio. Tutta la storia si sviluppa intorno al ritrovamento di alcune "moleskine", cioé dei quadernetti, che vengono diligentemente riportati all'indirizzo di casa del proprietario. Ma la casa dell'autore delle moleskine è ora abitata da un nuovo proprietario, giusto Zeno Bizanti, che si vede recapitare questi documenti. Da qui inizia una ricerca spasmodica sul perché il vecchio prorpietario abbia scritto questi appunti, e, cosa ancora più misteriosa ed intrigante, sulla veridicità di quanto riportato nei quadernetti.
Si forma così il "Circolo Servabo", composto dal protagonista, presidente, e dagli amici che hanno ritrovato i quadernetti.
La bravura di Dario Pontuale sta anche tra l'altro nella descrizione psicologica dei personaggi, e nel come questi affrontano le situazioni; ognuno di loro ha una sua fisionomia ben marcata, e l'autore riesce a dare personalità e pensiero persino alla tartaruga di casa, Blanqui, che diventerà la mascotte e l'emblema del Circolo. C'è poi la vecchia signora Noris Spina, la prima a riconsegnare uno dei quaderni ritrovati; è una arguta signora che trascorre il suo tempo a raccontare favole ai bimbi nel parco; poi c'è Ansano Ricci, altro personaggio stravagante, esperto fotografo a caccia dei fulmini; il terzo personaggio è Elia Busacca, netturbino, ma con la segreta passione dello scrivere.
Sarà grazie alla specificità di ciascuno dei personaggi, compreso il protagonista e il suo fidatissimo amico ingegnere, Adriano, (con il quale s'intrattiene in accanitissime partite a subbùteo), che si creerà questo Circolo Servabo, un circolo particolarissimo, che darà vita ad un mercatino suggestivo, dove la gente potrà "acquistare" gratuitamente quello che non è più in grado di attuare: il sogno, il fascino procurato da un oggetto e dalla sua storia, per quanto immaginaria o inventata. Ed è, questa, l'attuazione del piano patafisico dell'autore delle moleskine.
La vita di ciascuno dei personaggi del libro, dal protagonista Zeno Bizanti che racconta in prima persona, all'amico ingegnere che sembra avere un ruolo da catalizzatore, per le sue qualità positive e riflessive, ai tre soci del circolo così diversi tra di loro, alla figura misteriosa di Giorgio, l'autista e maggiordomo della signora Matilde, nipote del defunto signor Bisigato, autore delle moleskine, si snoda lungo tutto il romanzo giungendo a definire esaurientemente il carattere e i punti essenziali della storia di ciascuno. Così apprendiamo che il protagonista proviene da una situazione sociale e lavorativa non proprio rosea, in quanto ideatore e curatore di trasmissioni televisive di pessima qualità che, pur avendolo compensato largamente dal punto di vista economico, gli hanno lasciato nell'animo il senso amaro della insulsaggine e dell'inadeguatezza. Riacquistata la propria dignità con proposte di trasmissioni più qualificate, ma con scarsissimo indice di gradimento, Zeno viene licenziato. Comincia così il racconto, e comincia così l'avventura del protagonista, la ricerca di altre possibilità, di qualcosa che possa arricchire l'animo e la vita.
Direi che il nocciolo, l'essenza o se vogliamo, la morale della storia raccontata da Pontuale in questo libro, sia proprio questa: il riemergere da situazioni di vita piatte, banali, ripetitive e scialbe, insomma il riscatto da una quotidianità cittadina che costringe all'omologazione, che incanala il flusso del vivere in solchi prestabiliti e a volte indesiderati, ma obbligati per il raggiungimento di mete nebbiose e del tutto prive di quella luce di realizzazione interiore che tutti cercano, più o meno palesemente; suggerendo e indicando che è ancora possibile il sogno, l'immaginazione costruttiva, lo stare insieme per uno scopo comune, fare del bene a se stessi per fare del bene agli altri, perché gli altri sono là, fuori casa nostra, che aspettano che qualcuno dia loro materia valida per sognare, per immaginare, per rinvigorire la loro capacità di costruire qualcosa di diverso, che non sia il solito scialbo trantran quotidiano. Ecco dunque l'attuazione "patafisica" del Circolo Servabo, ecco attualizzarsi il progetto di vita del vecchio Bisigato, con un finale a sorpresa che coinvolgerà emotivamente il lettore.
Ecco: nessuno ha mai visto decadere l'atomo di idrogeno. E' vero, perché l'atomo di idrogeno, composto da un solo protone e da un elettrone orbitale, statisticamente, come leggiamo nella fisica atomica, ha un periodo di decadimento di 19 minuti: un'eternità, rispetto al tempo di decadimento delle altre particelle subatomiche, che in media hanno tempi di frazioni di nanosecondi. In pratica, il protone non decade mai. Però, immaginare un mondo dove sia possibile assistere al suo decadimento, è possibile. E' un discorso portato all'estremo, ma questo indica la potenza dell'immaginazione e del sogno, in una realtà a volte troppo scontata e banale, ovvia.
Dario Pontuale, con questo suo bellissimo libro, riprende a mio modesto parere il tema dell'improbabile ma verosimile, già iniziato con successo in un suo precedente romanzo, "L'irreversibilità dell'uovo sodo". Mi sembra giustamente che il nostro bravo autore romano voglia indicarci che non tutto nella vita è dato per scontato, che dietro la realtà di tutti i giorni spesso si cela qualche desiderio più o meno inconscio di cambiamento, di ricerca d'altro, che sia anche una sciocchezza, un'infatuazione, un sogno, ma che questa stessa ricerca metta in moto, in noi stessi, il motore dell'andare avanti, che è poi il modo giusto di vivere la nostra vita.

Il libro è stato presentato dal Circolo Letterario Anastasiano nella Biblioteca Comunale "G. Siani" di Sant'Anastasia, venerdì 19 aprile, alla presenza di un folto e attento pubblico. Relatore è stato lo stesso Giuseppe Vetromile.

DARIO PONTUALE (Roma 1978) è laureato in Storia della critica letteraria e in Scienze Archivistiche e Bibliotecarie. Collabora con le riviste di critica letteraria Esperienze Letterarie, Nuovi Annali, Italinemo ed è studioso di letteratura dell’Otto-Novecento, nonché autore di saggi su Serra, Montale, Buzzati, Svevo, Pessoa, Salgari e Stevenson. Ha pubblicato già due romanzi: La biblioteca delle idee morte (2007, secondo al premio Soldati) e L’irreversibilità dell’uovo sodo (2009, vincitore del premio della critica Le Muse). È coautore del documentario indipendente su Pier Paolo Pasolini P.P.P. Profezia di un intellettuale.

Dario Pontuale, "Nessuno ha mai visto decadere l'atomo di idrogeno", romanzo, Edizioni Bordeaux, Roma, 2012

26 marzo 2013

Comunicato ufficiale per la Prima Ragunanza sulle orme di Cristina di Svezia


Dopo un’attenta lettura delle poesie giunte per la Prima Ragunanza sulle orme di Cristina di Svezia, ideata da Giuseppe Lorin, la Giuria, composta dai membri di Liber@rte (Andrea Leonelli, Elisabetta Bagli, Gino Centofante, Monica Pasero, Oliviero Angelo Fuina e Michela Zanarella)  ha scelto le seguenti liriche per l’antologia che sarà edita da ArteMuse Editrice:

“Maddalena, terra mia” di Sebatiano Impalà
“Il salice ridente” di Alessandro Moschini
“L’Apocalisse” di Osvaldo Crotti
“La fine” di Maurizio Donte
“La discesa dal monte” di Loredana Savelli
“Istinti in disuso” di Emanuela Arlotta
“Io Sole” di Emanuele Marcuccio
“Ultima radura” di Giovanni Monopoli
“Il mio mare” di Gianni Di Giorgio
“Il Kagu”  di Giovanna Iorio
“Connubio” di Ciro Pinto
“Acrobati feriali” di Paolo Carlucci
“Invidio il vento” di Stefano Massetani
“Arcadia” di Maria Rotolo
“L’inchino degli alberi” di Alessandro Bellomarini
“Natura” di Bartolo Montanari
“Ho spiegato alle palme” di Giuseppe Vetromile
“Utopia” di Carla De Angelis
“Lunica Madre” di Anna Cibotti
“Il fiore giallo” di Lorenzo Spurio
“Luce nuova sulla terra” di Roberta Marzi
“Forza della vita” di Nadia Milone
“Infinito cielo di Gea” di Rosellina Brun
“L’ odore della mia terra” di Tiziana Mignosa
“Lo scudo della vita” di Roberto Travaglini
“…E Iddio credette di vedere cosa buona e giusta” di Riccardo Lamperti
“Ritocchi d’alba” di Silvia De Angelis
“Madre Terra” di Francesca Corsanici
“L’eclissi” di Alessio Miglietta
“I girasoli della speranza” di Patrizia Portoghese
“Respiro primavera” di Annamaria Pecoraro
“Alla madre suprema di ogni cosa” di Gabriele Fabiani
“E lì” di Annarita Mastrangelo
“Fuori da qui, fuori da noi” di Emanuele Tanzilli
“Notti eterne” di Denis Cornacchia
“Il temporale” di Nicolò Luccardi
“Campagna abbandonata” di Andrea Lucani
“Alla quercia di P.da Palestrina” di Andrea Mariotti
“E’ tra le parole silenziose” di Irene Sparagna
“Inafferrabili gemme” di Carmine Valendino
“Se” di Maria D’Ippolito
“La quercia” di Paolo Lorussi
“L’ordine” di Roberta Borgianni
“Ma tu” di Donatella Giancaspero
“Il suono del flauto” di Nadezhda Slavova
“Vivere la vita (Terra!)” di Francesca Di Meco
“Inno all’acqua” di Franco Argenti
“L’airone a Villa Pamphilj” di Silvio Parrello
“Scaldarmi al sole” di Valerio D’Amato
“Natura violata” di Mario De Rosa
“Verdinote” di Barbara Bracci
“Disgregazione” di Marco Mazzanti
“Foglie” di Veruska Vertuani
“Parco della Maremma” di Lucia Picotti

Preghiamo gli autori selezionati di darci conferma della loro presenza nel giorno della manifestazione del 28 aprile 2013 a Villa Pampjili per la lettura della propria poesia.  Ulteriori aggiornamenti sull'iniziativa saranno comunicati a tutti i partecipanti.

Cordiali saluti,
Michela Zanarella e il Team Liber@rte

22 marzo 2013

Le poesie di Enzo Rega a Cefalù

Domenica 24 marzo si presenta a Cefalù (Palermo), al Caffè Letterario “La Galleria”, in via XXV Novembre-via Mandralisca, alle ore 17,30, il libro di  Enzo Rega, Indice dei luoghi. Poesie da viaggio (e d’amore), Laceno Edizioni (Atripalda, AV, 2012, pref. di Armando Saveriano; postfaz. Di Pasquale Gerardo Santella).. A parlarne con l’autore sarà il prof. Mario Macaluso, direttore di “Cefalunews”. Il libro di Enzo Rega è stato recentemente recensito anche sulla rivista “Poesia”, con un articolo a firma di Luigi Fontanella.

“Il luogo, in poesia, diventa occasione di lascito che restituisce un respiro vasto e meditato alla ricerca incessabile del significato privato, personale e dunque universale, dell'esistente nella necessità etica dell'identità umana e culturale. È attraversamento del più vasto scenario dell'anima, ove vengono stabiliti e scanditi i segni della trasfigurazione nel rapporto tra senso e suono, emozione e sentimento, persistenza e slacciamento. Il poeta si aggira, infatti, con passione ed intelletto per i viali, le piazze, i meandri della città dell'anima con la sua singolare attitudine ad usare lo sguardo come una parola, che smembra se stessa, cerca e fornisce indicazioni di vita e di poetica. E se l'autore si svela e si confessa, il linguaggio scavato, istigante, sofferto, esaltante, liquido, erotico, vitale, dà vigore alla natura e all'aspetto strabiliante della parola, quando essa possiede e si fa possedere. Il viaggio di Rega soprattutto non si limita ad essere percezione, interpretazione, riconciliazione o reiterabile strappo emotivo-sensorio indubbiamente catarsi inconscia ma nella calma o nel trasporto esige e offre un tempo senza regole” (dall’Introduzione di Armando Saveriano)

Nato a Genova nel 1958, Enzo Rega risiede a Palma Campania (Napoli), con frequenti soggiorni a Siracusa, dopo un decennio trascorso a Bergamo. Laureato in Filosofia all'Università "Federico II" di Napoli con una tesi su "Heidegger interprete di Nietzsche", si occupa di letteratura, filosofia, cinema e critica della cultura. Insegna Scienze Umane nel Liceo classico "A. Rosmini" del suo paese e collabora con l'Università di Salerno e ha collaborato con l'Università "Suor Orsola Benincasa" di Napoli. E redattore di “Gradiva”(State University of New York) Scrive tra l’altro  per le riviste letterarie “L’Indice dei libri del mese”, “Poesia” e “Italian Poetry Review” (Columbia University), "Yale “OBLIO” e per il bimestrale siciliano “Le Fate” Tra le ultime pubblicazioni in volume, due libri con le edizioni l’arca e l’arco di Nola: La coscienza dell’utopia. Vincenzio Russo, giacobino napoletano (2011) e Derive mediterranee. Immagini letterarie da Napoli all’altra sponda (2012).

• Cefalù •

La bambina con la gonna scozzese
che giocava sotto la frangetta nera
quasi dirimpettaia,
fatta salva l’estensione d’un mare ch’unisce,
ho ritrovato nel suo passato
e nel nostro presente
dall’altra parte del Tirreno
– fossi io a Genova a Napoli
e con i suoi occhi di allora di oggi
ho visto sotto il monte
(kefalé, testa che sorge dall’acqua)
le guglie del Duomo
nave pronta a essere varata
come quelle di Liguria, diceva il poeta


   

15 marzo 2013

"Percorsi alternativi", il nuovo libro di Giuseppe Vetromile




Sottoposti alla legge inesorabile del tempo, questo grande scultore, siamo tutti condannati. Alla fine del viaggio ci aspetta quell’ombra ineluttabile, pronta a risucchiarci, che è la morte. Non c’è scampo e via d’uscita da questa prigione sconclusionata del creato.
Tale il punto di partenza della poesia di Giuseppe Vetromile che, per sfuggire a questo vertiginoso risucchio nichilistico, ubbidisce a una poderosa forza di rimozione, a un’urgenza biologica e non rinuncia a illudersi che la propria vita possa essere un’altra da quella che realmente è. Così tenta la poesia come inaudita architettura di parole, percorso alternativo, con le sorprese, gli imprevisti, le fermate obbligatorie.
Per diversificare si avventura in una terra incognita, prova le varianti, i transiti interrotti e provvisori, tenta probabili vie di fuga e ci offre tentativi di oltrepassare la morte, eludere le frecce direzionali del beffardo corso della vita. Ripercorre a ritroso il viaggio per redimere il passato, per riflettere e scoprire infine, sospeso, un istinto di sopravvivenza legato al sogno della vita.
Alessandro Carandente

Giuseppe Vetromile, "Percorsi alternativi", Marcus Edizioni, Napoli, 2013. In copertina: G. Battista Nazzaro, Grafia n. 1, 2012

***

Giunti all'apice della foglia non resta che tornare indietro
ma sull'altra faccia
quella più rugosa e capovolta
perchè quando il mondo finisce comincia
la via sghimbescia e non ha pace
la formica

riprende l'infinito giro

così noi
a passetti di tempo e di stagioni amare
cerchiamo l'orlo della vita
senza sapere che in realtà stiamo traslocando
verso un'altra tiritera

(Da: Sequenze del contrario andare)

3 marzo 2013

Le "Considerazioni" poetiche di Ciro Carfora


Accostarsi al mondo della poesia, frequentarlo e poi anche viverlo in prima persona, da protagonista, non è un processo che può esaurirsi in un breve spazio di tempo: inizia, se davvero inizia, cioè se davvero si posseggono i "germi", i "semi" capaci di generare questa stupenda attività artistica, quasi in sordina, improvvisamente, in un luogo e in un momento particolare, forse, della vita dell'autore, per poi proseguire senza più arrestarsi, ma raccogliendo e consolidando lungo il viaggio personale, un bagaglio di esperienze poetiche sempre più ricco e luminoso. Il punto importante è dunque l'inizio, la determinazione a voler coscienziosamente intraprendere un lavoro di ricerca su di sé e sul mondo osservato, da tradurre in versi.
In questo senso Ciro Carfora è un poeta coscienzioso, perché egli seppe coltivare la folgorazione nascente, l'impeto creativo che è innato in noi, per proseguire consapevolmente e con impegno, lungo la difficile strada del fare poesia, una poesia che non sia solo un mero versificare, cioé imbellettare le emozioni e le idee con parole e termini sensuali, sdolcinati o anche ovvii, ma piuttosto una poesia robusta, istantanea, che sappia attraversare la pelle e giungere fino al cuore, penetrante come uno strale. E non è necessario ricorrere a particolari costruzioni o a sperimentalismi forzati ed estremi, per proporre a tutti i costi una poesia diversa, una poesia nuova, una poesia libera: sono, queste, caratteristiche che a volte necessitano, è vero, ma non sempre. Ciro Carfora ha trovato invece, per la sua poesia, una connotazione e una modularità che per certi versi può dirsi classica, normale, o addirittura lirica. Ma il suo segreto sta proprio nel "segreto", cioè nella verità intima e semplice del suo cuore e della sua anima, capace di dar vita al fanciullo pascoliano, o a quell'essenzialità velata di mistero che si ritrova nella poetica ungarettiana.
Un linguaggio semplice e diretto, dunque, quello di Ciro Carfora, e l'abilità poetica sta proprio in questo suo dire breve ma intenso, diretto ma profondo, sintetico ma totalizzante nello stesso tempo.
Andando ad indagare più in profondità nella poetica del nostro Ciro Carfora, la prima cosa che risulta evidente è dunque questo suo discorso apparentemente tranquillo, contenuto, direi quasi da genitore nei confronti di un figlio, in cui il dire è costituito essenzialmente da "considerazioni" sugli aspetti molteplici della vita, della società, degli affetti, del "come va il mondo", ed espresso con una tonalità dolce, mai eccessiva o eccessivamente aggressiva, lacerante, urlante: perchè l'impasto poetico con il quale Carfora realizza la sua edificante costruzione, è infarcita d'amore, soprattutto d'amore: "Tu non sai, / ma è questa grazia / che nell'intimo / ti possiede / a renderti rosa / dei giardini, / rugiada / che ammanta i sentieri / coi veli delle trasparenze ..." (Da: "Rossella"). E sulla base di questo principio edificante, cioè il sentimento d'amore verso la persona e verso tutta la società, Ciro Carfora ha elaborato una sua struttura poetica, fin dall'inizio della sua lunga carriera letteraria, ricca di contenuti soprattutto personali e sociali, in cui le tematiche più importanti e addirittura scottanti, per certi versi, vengono espresse con naturalezza ma anche con l'incisività del suo accorato canto. Possiamo dunque considerare, ora, questa recente raccolta di poesie dal titolo quanto mai aderente a tutto il discorso precedente, e cioè "Considerazioni", come un'opera validissima del nostro poeta, che continua, anzi prolunga la sua azione artistica e letteraria, nei confronti del mondo, ponendosi egli quale acuto osservatore di fronte alla quotidianità, sovente intrisa di storie degradate e tristi, ma anche ricca di sbalzi di gioia e d'amore. Parliamo, in particolare, di figure di sofferenza, che il nostro Carfora ritrae con determinazione e dolcezza: "La povertà / è una fanciulla / che mi seduce / con un cenno degli occhi. / Ho per lei / monete di tenerezza / e qualche lacrima nascosta" (Da: "La povertà"). E ancora: "Adele è ferita, / ma ha cuore / che si dona. / Adele è attesa / di arcobaleni, / è sorriso / che stempera sconfitte" (Da: "Adele"). In questi versi, presi ad esempio, già si intravede la commiserazione, la compassione del poeta, che non è però mero e languido distacco, bensì compartecipazione, quasi un immettersi nei sentimenti altrui, farli propri.
Ed è dunque anche per questo (ma non solo!), che Ciro Carfora ha meritato di ottenere il primo premio, consistente appunto nella pubblicazione di questo libro, all'edizione 2012 del concorso letterario internazionale "Prader Willi" indetto dall'Associazione "Carta e Penna" di Torino per porre l'attenzione del pubblico su una particolare malattia, detta appunto sindrome di Prader Willi, dal nome dei due studiosi che l'hanno individuata. Ciro Carfora ha dimostrato così che anche con la poesia è possibile avvicinarsi a problematiche importanti che investono la sfera delle malattie e il rapporto con i "diversamente abili". Le sue poesie, in particolare quelle raccolte nel libro "Considerazioni", sono per certi versi anche una denuncia, o perlomeno un tentativo di informare, con una modalità artistica e poetica davvero eccezionale, e di aprire una finestra sul doloroso mondo dei diversi, degli abbandonati, dei sofferenti. E la sua poesia compie il miracolo del riscatto, ponendo in luce aspetti negativi, figurazioni opache, ma comunque cariche di grande umanità e soprattutto di speranza, come quando afferma, in "Aurora": "E' nel viaggio / dei tuoi sogni / che si desta / il mattino".
Ciro Carfora conferma con questa sua raccolta poetica di essere poeta sensibilissimo e attento, che senza ricercare particolari strutture autoreferenziate, mira ad una poesia diretta, del sentimento e dell'uomo, pur avvalendosi di una scrittura lirica di indubbio livello qualitativo.

Ciro Carfora, "Considerazioni", Associazione Culturale Carta e Penna, Torino, 2012

G. Vetromile
3/3/2013

Le Foto de "La Rocciapoesia 3"

Le foto dell'incontro de "La Rocciapoesia 2", a Pratella, il 27 ottobre 2012

Le foto dell'evento "Una poesia fuori dal comune". Sant'Anastasia, 23 settembre 2012

Una poesia fuori dal comune, Sant0Anastasia, 23 settembre 2012

PUNTO, Almanacco della Poesia italiana

PUNTO SCHEDA

ARCARTE - IL VIAGGIO DELLA CREATIVITA'

Si è svolto il 30 novembre scorso, alle ore 17, presso l'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, Palazzo Serra di Cassano in Via Monte di Dio 14, Napoli, il Convegno di studi e reading di poesia "ARCARTE - IL VIAGGIO DELLA CREATIVITA'".
All'interessante incontro, promosso e organizzato dall'Istituto Culturale del Mezzogiorno e dall'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, hanno preso parte:
- Natale Antonio Rossi, Presidente Unione Nazionale Scrittori Artisti;
- Ernesto Paolozzi, Università di Napoli Suor Orsola Bnincasa;
-Antonio Scamardella, Università di Napoli Parthenope;
- Antonio Filippetti, Presidente Istituto Culturale del Mezzogiorno.
Nell'ambito del convegno si è svolta la rassegna "Liberi in Poesia", con la partecipazione di autori di diverse generazioni. Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha conferito ad "ARCARTE" quale suo premio una medaglia di rappresentanza.

Le foto del convegno

Presentazione "Sulla soglia di piccole porte"

Enza Silvestrini, 11 ottobre 2012