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TACCUINO ANASTASIANO

28 maggio 2010

I "Racconti di qui", di Davide Vargas

E' stato presentato giovedì 27 maggio, presso la sede del Circolo Letterario Anastasiano, il piacevolissimo di libro di Davide Vargas, intitolato "Racconti di qui".
Sappiamo quanto sia emblematico e importante il titolo di un qualsiasi lavoro, che sia saggio, romanzo, o anche poesia, perché nel titolo è racchiuso tutto, è in qualche modo riassunto tutto ciò che l’autore intende esprimire. Ma perché “Racconti di qui” e non, per esempio, “Racconti da qui?” Poteva sembrare più ovvio, persino più normale, se di normalità si può parlare in questo caso, dare un titolo che poteva almeno salvare le apparenze: il titolo di un qualsiasi libro che tratti, anzi che narri, delle vicende, dei fatti, degli episodi: alla fin fine, un qualsiasi libro di narrativa così come inteso un po’ da tutti.
In verità l’arcano è presto risolto. “Racconti di qui” è un titolo quanto mai appropriato per un libro in cui il soggetto narrante è costituito non dall’autore, da chi scrive, bensì dagli oggetti stessi. Sembra infatti che siano le cose a parlare in prima persona, in questo itinerario narrativo che si dipana in terre desolate e degradate, ma anche in nostalgiche visioni e flashes della memoria, di quando un ambiente oggi così aggredito e deturpato era, agli occhi di un bambino, rigoglioso e ricco di colori e di profumi. Non per niente nell’esergo del libro possiamo leggere: “Alla mia terra che offre continui spunti di dolore e di amore”. E stiamo parlando naturalmente della nostra terra, della zona dell’aversano, del litorale flegreo, della terra di lavoro che, come leggiamo nella puntuale e approfondita prefazione di Giuseppe Montesano, si è ora trasformata in terra di nessuno, il non luogo che si estende tra Napoli e Caserta.
La genialità e l’originalità di questo importante testo di narrativa, sta dunque, nella modalità peculiare con la quale si snodano gli episodi-capitoli, e cioè la parola, la situazione, il fatto che scaturisce direttamente dalla bocca delle cose, degli alberi, dei muretti, dei tralicci, delle strade (interessante per esempio il racconto “Siamo strade”, in cui sono loro, le strade, che parlano in prima persona: “ci allunghiamo tra case, ci incrociamo ad angolo retto, ci ripetiamo in una scacchiera poggiata sulla campagna come una tovaglia da picnic”…).
Insomma, l’autore ha saputo creare un modo incisivo e veramente efficace di raccontare, anzi di esporre, le proprie considerazioni e le storie di queso territorio ormai così devastato, valorizzando e facendo vivere, rendendo protagoniste le minime cose, i dettagli più insignifanti, i particolari più banali: “L’uomo è attratto dalla strada. Le crepe, le cicche, i tappi di bottiglie ingoiati come fossili, i dslivelli del cammino, la ragnatela come di vetro fratturato che si apre nell’asfalto” citiamo ancora dalla prefazione.
Ecco dunque che i “Racconti di qui” sono tali perché offrono un quadro immantinente, in cui sono privilegiate le immagini hic et nunc stagliate ruvidamente e vicinissime allo sguardo e al cuore dell’autore, il quale nonostante tutto ne rimane in un certo qual modo distaccato, passivo, rassegnato, facendo emergere la violenza di una realtà ormai lapidaria e radicata, che non è più possibile cambiare. Perciò i racconti sono di tanto in tanto intervallati da un corsivo “Finalmente scappo. Domani. Dormirò per l’ultima volta nella mia casa”. E’ un abbandono triste, che richiama un certo “fuitevenne” di eduardiana memoria, ma che lascia comunque aperto un varco alla speranza, o, se non altro, alla memoria.
Un altro aspetto peculiare del libro è il linguaggio. Un linguaggio che si discosta alquanto dall’usuale impianto o struttura narrativa che generalmente è impiegato nella maggior parte della letteratura di questo tipo, e cioè il soggetto narrante, il fatto o l’episodio, la conclusione. In questo libro invece, l’autore segue un suo personalissimo e originale schema, e i termini usati sono molto vicini alla poesia, si potrebbe addirittura parlare di prosa poetica: “Muro che separa e basta. Come fanno a volte le parole degli uomini. Muro che si sbreccia. Opaco. Tagliente come una linea. Muro che taglia e basta.
Si può dunque affermare che il libro di Davide Vargas, “Racconti di qui”, costituisce senz’altro una valida testimonianza, non solo dell’aspetto fisico di un territorio complessivamente degradato e vicinissimo a noi, ma anche del modo non cronachistico o giornalistico, ma piuttosto psicologico e poetico dell’esposizione.
Giuseppe Vetromile

Davide Vargas, "Racconti di qui", Tullio Pironti Editore. Presentato il 27/5/2010, Relatore: Gianpaolo Graziano, scrittore e giornalista; letture di Carmela Vargas.
Alcuni momenti della presentazione



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