La poesia non muore, la poesia non è morta. Anche se la voce può cessare, anche se il canto sublime può interrompersi indefinitamente, l’anima della poesia resta. E resta fra noi la poesia di Adriana Scarpa, che malignità terrene hanno strappato a questo temporaneo viaggio di materia. Adriana Scarpa, infatti, non c’è più: è deceduta lo scorso 19 ottobre, lasciando tutti noi costernati e affranti. Adriana Scarpa è stata, è, una grande poetessa, e senza alcuna retorica ma riconfermando una realtà che è sempre stata sotto gli occhi di tutti noi che scriviamo poesie e ci sforziamo di dare un valido contributo all’attuale panorama poetico italiano, possiamo ben dire che la Nostra Poetessa è stata – e continua ad essere – un preciso riferimento, un punto fermo, un modello eccelso da seguire, da studiare, da amare.
Nata a Venezia nel 1941, sua abituale residenza è però stata la città di Treviso, dove appunto si è spenta. Ex funzionario della Banca d’Italia, Adriana fin da piccola aveva sempre dimostrato particolare predilezione per la poesia, tanto da affermarsi, nella sua maturità poetica, in importantissimi concorsi letterari nazionali, nelle cui commissioni giudicatrici figuravano nomi prestigiosi della letteratura contemporanea, quali Ungaretti, Caproni, Zanzotto, Bo, Galasso, Grisi e tanti altri. Numerosissimi i primi premi, intensa la sua attività letteraria e prolifica la sua opera, con più di trenta pubblicazioni, per la maggior parte avute in premio e sempre qualificandosi con molto merito ai primi posti nei vari concorsi. Ultimamente la sua città, Treviso, le aveva pubblicato un’antologia completa di intervista, dedicandole un’intera giornata di festeggiamenti.
Una poesia intensa, alta, quella di Adriana Scarpa, che lascerà certamente un’impronta per la sua peculiare e caratteristica espressività. Diamo qui, purtroppo brevemente, un esempio della sua lirica melodiosa.
Mi resta tutto il cielo da spartire
Sono la parola
fuggita dal muro di brezza
che fruga la quieta anima
delle ultime stelle. La mia ricerca
fluttua tra pareti
che non fanno storia, lampade
sospese ai davanzali, lo scialle
modellato alla figura.
S’accende sulla bocca
il cristallo delle rugiade
ma nessuno
può rubarmi il pensiero
che dorme nei tronchi
e c’è stagione nuova
anche per gli occhi
che hanno perduto l’innocenza.
Oggi
mi sento leggera come un ramo
che resta solo col suo peso
dopo un volo di passeri
e la luce
s’irraggia dai contorni delle cose.
L’azzurra matassa della vita
somiglia ad una lucciola vagabonda
e mi resta tutto il cielo
da spartire
con l’anima sempre nuova; la realtà
evade cantando
e il corpo
oltre i confini del tempo.
Il paesaggio si posa sopra la città:
dove comincio, dove finisco
è un incendio di vene
nello spazio che svolge
i chiari giorni del passato.
(Da: “Alchimie per una donna”, 2003)
Ed ecco qui una mia poesia a Lei dedicata:
L’Allodola felice
(ad Adriana)
Somma di vita che si racimola in un baratro di terra,
ma poi che altro chiedere al cielo ininterrotto?...
Una luce che dia senso alla nostra ombra,
o un calore che avviluppi la nostra desolazione
in questa casa: ma poi che altro bussare
alla porta del cielo?...
Hai bussato! Ed hai chiesto!... Tu, Adriana,
nell’ora del tramonto, hai chiesto un passaggio
eterno, che sublimi il tuo tutto che è stato qui,
che è stato una perla di dolore, una goccia di gioia.
Ogni tuo verso, ogni tuo canto è un geroglifico
d’amore, di speranza per noi rimanenti
nell’immane cataclisma di materia che è
questo creato: di credo d’esistenza oltre ogni
singola molecola. E tu ora potrai finalmente
dire, con parole di allodola felice:
Se apro porte e finestre ed esco da me,
se muovo le ali della mia libertà e la gioia
fa lievitare il peso del corpo, guardate là,
in alto, dove lo sguardo si perde nella luce,
quell’incredibile aquilone che conosce i venti.
Lassù è salita l’Allodola felice…
Giuseppe Vetromile
20/10/2005
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